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Le domande immaginarie di un marziano a Roma

Cosa potrebbe mai uscir fuori da una conversazione tra un marziano e dei commensali romani che tentano di spiegargli la politica italiana? Un risultato immaginifico, ma neanche troppo.
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Le domande immaginarie di un marziano a Roma

Cosa potrebbe mai uscir fuori da una conversazione tra un marziano e dei commensali romani che tentano di spiegargli la politica italiana? Un risultato immaginifico, ma neanche troppo.
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Le domande immaginarie di un marziano a Roma

Cosa potrebbe mai uscir fuori da una conversazione tra un marziano e dei commensali romani che tentano di spiegargli la politica italiana? Un risultato immaginifico, ma neanche troppo.
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Cosa potrebbe mai uscir fuori da una conversazione tra un marziano e dei commensali romani che tentano di spiegargli la politica italiana? Un risultato immaginifico, ma neanche troppo.
Sono un marziano catapultato a Roma. Da lassù sembrate meravigliosi, mi è stato quindi chiesto di venire qui per cercare di capirvi. Lo ammetto: impresa non facile. Ieri sera mi recai in una trattoria. Dal mio tavolo potevo ascoltare la seguente conversazione. Commensale Uno: «Tu per chi voti?».

Commensale Due: «Beh, o la Meloni o il Pd». Notate bene: da quel che ho appreso in questi giorni romani sono due cose assai diverse. Una è leader di un partito, l’altro è un partito senza un leader. Non facile da riportare lassù donde provengo.

Commensale Due: «Scusa, io non volevo violare la tua privacy, chiedevo soprattutto cosa votassi sui referendum della giustizia». Divertente il concetto di privacy che avete qui. Tutti ne parlano, nessuno la pratica. Molto terrestre, soprattutto italiano, decisamente romano.

Commensale Tre: «Ah guardate, io manco ci vado a votare. Sono innocente, una sola multa (subito pagata), verso l’Iva, tratto bene mia moglie… anche troppo! Nei tribunali devono andarci i lestofanti, e ce ne sono in giro!».

Commensale Uno: «Ecco, qui ti sbagli e di grosso. Tu lavori nell’edilizia. Metti che domani firmi un contratto con un’azienda in odore di mafia. Parla un pentito e fa il tuo nome. Sarai un candido cittadino ma saresti fottuto per alcuni anni. No, devi votare!».

Commensale Due: «Ha ragione. La maggioranza pensa che non avrà mai a che fare con la giustizia e quindi non si pone il problema. Errore grave che potrebbe avere conseguenze letali per la tua vita, il tuo lavoro e la tua famiglia».

Commensale Uno: «Ma questa storia che per i magistrati la riforma metterebbe a rischio la loro indipendenza e l’ordine democratico?».

Commensale Due: «Metterà a rischio la loro volontà di comandare, di non subire le conseguenze dei loro errori, di mettere mano dopo trent’anni alla separazione… No, scusa, magari fosse quella delle carriere. La riforma Cartabia parla di separazione delle funzioni… Insomma, un po’ come dare una mano di bianco su una parete ammuffita».

Commensale Tre: «Ha ragione Sabino Cassese. La macchina della giustizia è così complessa e le disfunzioni così tante che stabilire imputazioni e attribuire colpe è molto difficile. Vi è un insieme di concause che producono l’attuale situazione, a partire dalla antiquata distribuzione dei tribunali sul territorio fino alla irrazionale assegnazione dei magistrati ai tribunali, passando per la quasi completa assenza di attenzione per gli aspetti che riguardano i tempi e gli impatti delle decisioni sulla domanda di giustizia».

Confesso che capisco poco del vostro sistema. Cassese so che è un giurista di valore, ha scritto un libro il cui titolo a noi marziani mette i brividi: “Il governo dei giudici”. Politici, magistrati, avvocati, giornalisti al seguito della notorietà del pubblico ministero di turno.

Ma il governo non dovrebbe essere espressione della volontà del popolo? Gente strana questi italiani.

  di Andrea Pamparana

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