L’appuntamento con la pace fra i popoli è rimandato al prossimo convegno dei retori inutili, ma quel che si è agguantato non è di poco conto. Lo si coglie meglio se anziché agli umori e allo spettacolo si guarda alla sostanza. Ad esempio l’acciaio: gli Stati Uniti rimuovono i dazi anti europei, che danneggiavano le imprese italiane.
La precedente gestione li volle per affermare la prevalenza degli interessi e dei produttori americani, danneggiandoli. Un’indicazione di multilateralismo e globalizzazione di notevole importanza. E andando oltre si vede dell’altro.
L’Italia è il secondo produttore europeo di acciaio, il tredicesimo nel mondo. I grandi produttori globali sono la Cina e l’India. I dazi americani vengono rimossi per l’acciaio prodotto con minore emissione di carbonio. E questo serva a quanti, sbagliando, credono che le parole dei comunicati finali restino per aria. Intanto, per noi italiani, si tratta di un ben concreto e ulteriore vantaggio d’esportazioni quantificabile in circa 800 milioni. Che possono crescere se ci decideremo a riportare la produzione a pieno regime, nella condizione che crea mercato prezioso, ovvero con tutto il possibile rispetto dell’ambiente.
Questo fatto concreto rimarca che la corsa verso l’emissione zero non è una processione penitenziale, ma una gara tecnologica che sarà vinta non da chi oggi riesce a produrre con costi minori (indubbio vantaggio immediato), ma da chi saprà conciliare i costi con la compatibilità ambientale (vantaggio di medio periodo). Il che comporta innovazione tecnologica.
Attenti a vivere di luoghi comuni e facili certezze, perché il mondo è complesso e lo si deve vivere con la conoscenza, non con gli slogan. Tutti sono pronti a dire che Cina e India, a seguire la Russia, sono i grandi inquinatori del mondo, ma quel che è evidente e confermato per aggregati nazionali non è poi così pacifico guardando con attenzione.
Certo: la Cina ha quasi il 28% delle emissioni globali, mentre l’Unione europea l’8%, ma se si calcolano le tonnellate delle emissioni pro capite, divise per ciascun cittadino, la Cina ne ha 7,1, l’Ue 8,5, l’India è un paradiso verde con 1,9 (in realtà è un inferno povero) mentre gli Usa svettano con il 16,6, superando la Russia ‘ferma’ a 11,5. Noi Paesi ricchi abbiamo una storia di emissioni assai più alte del resto del mondo e la Cina oggi cresce emettendo ben più del triplo, ma diviso per abitante restiamo in testa noi. Raccontare che loro sono i carnefici e noi le vittime forse non è la cosa più razionale.
Siccome ricchi siamo e tali vogliamo restare, ne deriva che il problema non è competere con chi sporca sporcando, ma dimostrando che si può crescere facendolo meno. O per niente. O anche ripulendo. Si può avere in uggia l’ambientalismo dolente, ma a patto di tenersi il capitalismo pensante.
di Davide Giacalone
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