Vicolo cielo per il Pd
I democratici italiani si ritrovano in una storta di eterno presente, vincendo le elezioni ma perdendo di credibilità
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I democratici italiani si ritrovano in una storta di eterno presente, vincendo le elezioni ma perdendo di credibilità
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I democratici italiani si ritrovano in una storta di eterno presente, vincendo le elezioni ma perdendo di credibilità
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I democratici italiani si ritrovano in una storta di eterno presente, vincendo le elezioni ma perdendo di credibilità
La frase con cui Elly Schlein iniziò il suo primo discorso da segretaria politica del Pd dopo aver vinto la gara di partito con Stefano Bonaccini – «Ancora una volta non ci hanno visto arrivare», ripresa dal titolo del libro di Lisa Levenstein “They didn’t see us coming – La storia nascosta del femminismo negli anni ‘90” – rischia di passare alla storia come l’autobiografia della Schlein e del Pd. A furia di non veder arrivare nessuno, né a destra né a sinistra, i democratici italiani si ritrovano infatti in una sorta di eterno presente – o di eterno ritorno dell’uguale – in cui vincono le primarie e perdono le secondarie (secondo la felice battuta del terribile Giovanni Sartori).
Da quanto tempo il Pd non vince le elezioni? Da così tanto tempo che le dita delle mani messe insieme sono largamente insufficienti a indicare il numero preciso di anni (ben diciassette). E poco o nulla conta – se non per aggravare il tutto – che proprio il Pd, nonostante le sconfitte elettorali, sia il partito che negli ultimi dieci anni ha governato di più. Proprio la dimensione governativa in pianta stabile del Pd ha finito per dare alla Schlein l’occasione della frase storica: «Ancora una volta non ci hanno visti arrivare». E così il partito è finito in un cul-de-sac: dal governissimo al radicalismo. Sembra incredibile, ma perfino il M5S è più moderato del Pd che, in sprezzo del senso del ridicolo più che del senso dello Stato (come amava dire Enzo Biagi), è perfino pronto a rinnegare le sue stesse leggi pur di correre a rotta di collo nel fondo del cul-de-sac.
Come se ne esce? Non senza gravi dolori di parto. Perché proprio questo è il punto: o il Pd rinasce a nuova vita mettendo al mondo qualcosa di valido o è votato – nel vero senso della parola – per stare stabilmente all’opposizione. L’opzione del rimescolamento parlamentare non è più all’ordine del giorno: o si vince o si perde, tertium non datur. Al momento il Pd è perdente non soltanto perché la sinistra è storicamente minoranza rispetto al più vasto mondo moderato, ma anche perché il suo profilo ideologico non riesce a entrare in sintonia con un sentire moderato che in questi tempi incerti ha trovato la sua casa nel centrodestra (bello o brutto che sia, ma i moderati sono moderati e non schizzinosi).
Sono passati molti anni da quando Luca Ricolfi scrisse il libro “Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori” ma la sinistra è ancora lì: crede di essere il sale della terra e impartisce lezioni al mondo mentre il mondo le volta le spalle. Non ha capito che le lezioni, come diceva Cesare Pavese, non si danno ma si prendono. Ma qui, evidentemente, bisogna maturare l’umiltà di prendere lezioni dal mondo (che poi altro non significa che imparare dagli errori e dalle sconfitte).
Da quando il Pd ha rinnovato la sua segreteria politica, andando indietro e non avanti, ci sono già state significative sconfitte elettorali ma la virtù dell’ascolto non si è vista. Tutt’altro: si persevera negli errori, in barba non solo alla scienza politica – semmai ce ne fosse una – ma anche al noto detto popolare.
Proprio questo è il cul-de-sac: essere in un vicolo cieco senza avere alcuna possibilità di cambiare, girarsi e uscire dalla strettoia. Ma siccome al peggio non c’è mai fine, nel Pd si può perfino prendere in considerazione di percorrere la via del cambiamento senza uscire dal vicolo cieco. Cambiare tutto per non cambiare nulla. Fra poco si porrà la questione del giudizio sulla Schlein e lei potrà dire: «Non li ho visti arrivare». Cambiare la Schlein per non cambiare la superbia ideologica del Pd è però un rimedio peggiore del male.
di Giancristiano Desiderio
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