Voti regionali e scontro di civiltà
Ogni volta che si vota per il rinnovo di un Consiglio regionale e per la sua presidenza sembra di assistere a uno scontro di civiltà e al giorno del giudizio
| Politica
Voti regionali e scontro di civiltà
Ogni volta che si vota per il rinnovo di un Consiglio regionale e per la sua presidenza sembra di assistere a uno scontro di civiltà e al giorno del giudizio
| Politica
Voti regionali e scontro di civiltà
Ogni volta che si vota per il rinnovo di un Consiglio regionale e per la sua presidenza sembra di assistere a uno scontro di civiltà e al giorno del giudizio
| Politica
| Politica
Ogni volta che si vota per il rinnovo di un Consiglio regionale e per la sua presidenza sembra di assistere a uno scontro di civiltà e al giorno del giudizio
Ora che abbiamo rifatto il Regno di Sardegna non ci resta che rimettere su le Due Sicilie, riavere il Lombardo-Veneto come appendice dell’Austria e ritornare a essere, come diceva con sospetto e con irrisione il Metternich, «un’espressione geografica». Ogni volta che si vota per il rinnovo di un Consiglio regionale e per la sua presidenza sembra di assistere a uno scontro di civiltà e al giorno del giudizio.
Cagliari caput mundi. Basterebbe anche solo guardarlo il mondo per capire che il nostro ombelico non è il centro di nulla e il rischio che corriamo è il solito: affogare nel lavandino di casa. Massimo d’Azeglio lo sapeva molto bene e se solo sapessimo parlare del nostro passato senza retorica e senza mummie e senza odii insensati potremmo ascoltare le sue parole di verità con un po’ di sana vergogna: «I più pericolosi nemici d’Italia non sono gli Austriaci, sono gl’Italiani».
Alessandra Todde ha vinto in Sardegna. Auguri, buon lavoro per una buona amministrazione. Ci rivedremo a conti fatti. Non c’è altro da dire. Tutto il resto è noia. È il già detto e ridetto. Mille volte. Milioni di volte. La sinistra non vince, è la destra che perde. La destra non ha classe dirigente, la sinistra illude sé stessa di vincere e governare. E bla bla bla. Con analisi e commenti al cospetto dei quali il barocco e il roccocò sono un esempio di semplicità ed essenzialità.
L’interpretazione della politica italiana attraverso il partitismo – partitismo senza partiti ma pur sempre partitismo – ha come sua logica conseguenza il regionalismo, differenziato o indifferenziato che sia. I dati, le analisi, le percentuali, i grafici, le tabelle, le discese e le risalite son tutte cose buone a sapersi, ma possono anche essere il sintomo di una malattia. Quale? L’eccesso di politica.
Una volta Croce definì Togliatti totus politicus e gli disse: «Non la invidio perché penso che ne debba soffrire». E così è per la nostra vita pubblica: è tutta politica, negli argomenti, nei temi, nei sentimenti e l’Italia della vita quotidiana fatta di sacrifici, impegni, lavori ne soffre, altroché se ne soffre. Perché non si vede mai una via d’uscita e le strade immaginate e indicate, invece di uscire dal labirinto pan-politico ne sono corridoi, sale d’attesa, anticamere, pianerottoli, scale e sottoscala.
Ogni volta si crede di aggiustare le storture politiche con una nuova dose di iniezione politica, mentre il problema non è aggiungere ma togliere. Il voto dell’altro giorno (con uno spoglio infinito molto simile alla legge dantesca del contrappasso) e i voti che seguiranno – ai quali vanno aggiunte le elezioni europee, che son vissute come un’appendice e come un ripiego delle cose italo-regionali – ci mostrano che la vita politica di casa nostra è una specie di superfetazione che la cultura napoletana tardo-ottocentesca renderebbe così: è ‘nu guaio passat’ (è un guaio che abbiamo e tolleriamo).
Di cosa ha davvero bisogno l’Italia sul piano istituzionale? Di uscire dall’illusione regionalista, che c’è tanto a destra quanto a sinistra, di avere meno centri di spesa e uno Stato centrale che controlli senza dirigere. Il passaggio dallo Stato centrale al federalismo è contro natura – che significa contro la storia – e infatti il regionalismo è statalismo periferico. Le autonomie e il pluralismo istituzionale si realizzano al meglio con uno Stato centrale snello. Il primo beneficio che si avrebbe sarebbe fiscale e inciderebbe positivamente sul debito, che è figlio del regionalismo. Il voto sardo e delle altre regioni e le riforme istituzionali dovrebbero indurre la politica a evitare il populismo e a riconsiderare la nostra storia statale e costituzionale. Dovrebbero.
di Giancristiano Desiderio
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche
“I no speak english”: l’inglese di Raffaele Fitto (e non solo…)
17 Novembre 2024
Dal celebre “shock because…” di Matteo Renzi fino all’inglese “sfoderato” da Raffaele Fitto al…
Elezioni regionali, alle 19:00 affluenza al 30% in Emilia-Romagna, al 31,22% in Umbria
17 Novembre 2024
IN AGGIORNAMENTO – Le sezioni sono 4.529 per l’Emilia Romagna (330 Comuni) e 1.000 per l’Umbria …
Mattarella: “Ho promulgato leggi che non condividevo, che ritenevo sbagliate e inopportune” – IL VIDEO
16 Novembre 2024
Mattarella ha sottolineato come, nel corso dei suoi quasi 10 anni da Presidente della Repubblica…
La legge sulla maternità surrogata “reato universale” in Gazzetta Ufficiale lunedì
16 Novembre 2024
Il disegno di legge per rendere la maternità surrogata “reato universale” sarà in Gazzetta Uffic…