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voto utile

Voto utile: la più ingannevole delle motivazioni

L’invito al voto utile, la più ingannevole delle motivazioni in qualunque campagna elettorale, che oggi in teoria riguarderebbe le coalizioni anche se con buone dosi di ipocrisia.
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Voto utile: la più ingannevole delle motivazioni

L’invito al voto utile, la più ingannevole delle motivazioni in qualunque campagna elettorale, che oggi in teoria riguarderebbe le coalizioni anche se con buone dosi di ipocrisia.
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Voto utile: la più ingannevole delle motivazioni

L’invito al voto utile, la più ingannevole delle motivazioni in qualunque campagna elettorale, che oggi in teoria riguarderebbe le coalizioni anche se con buone dosi di ipocrisia.
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L’invito al voto utile, la più ingannevole delle motivazioni in qualunque campagna elettorale, che oggi in teoria riguarderebbe le coalizioni anche se con buone dosi di ipocrisia.
Finora è stato solo un sussurro ma è facile profezia prevedere che con l’avvicinarsi del 25 settembre diventerà stordente giaculatoria. Si tratta dell’invito al voto utile, la più ingannevole delle motivazioni in qualunque campagna elettorale. Nella prima Repubblica era l’invito a non disperdere il voto su liste minori e a concentrarlo invece sui grandi partiti, i soli in grado di cambiare le cose. Che poi non cambiassero mai era tanto scontato quanto sottaciuto. Adesso la questione in teoria riguarderebbe le coalizioni anche se con buone dosi di ipocrisia: c’è infatti da scommettere che nei giorni imminenti al voto sia Giorgia Meloni che, soprattuto, Enrico Letta concentreranno sulle loro figure la spinta degli elettori: bi-leaderismo al posto del bipartitismo, voto utile per me e sprecato per tutti gli altri o giù di lì.

Ma davvero? Siamo sicuri? Alla chiusura delle liste ci troviamo di fronte a collegi in cui, per dire, un elettore Pd è costretto a scegliere tra un vecchio esponente Dc, uno di ultrasinistra e un altro che fino a ieri sul Nazareno sparava alzo zero. Oppure, sul fronte opposto, uno di centrodestra e di simpatie sovraniste nonché russofile deve obbligatoriamente votare un esponente atlantista targato Fdi. O magari – perché non ci risparmiamo nulla – il contrario, per cui un atlantista se preferisce la destra è costretto a scegliere un candidato con simpatie russofile.

Il refrain è il solito: tutta colpa del sistema elettorale, vade retro orrido Rosatellum, e così i partiti si sentono la coscienza a posto. Peccato che quel meccanismo avrebbero dovuto cambiarlo loro e non l’hanno fatto, così rovesciano sugli elettori le rispettive inadempienze. Se poi trasferiamo il ragionamento sulle cosiddette coalizioni, non si sa se ridere o piangere. Salvini che sostiene che le sanzioni nei riguardi di Mosca nuocciono più a chi le mette che a chi le subisce (vero Putin?) è alleato con una possibile futura presidente del Consiglio che va dicendo l’opposto e ha mostrato più sensibilità verso la linea politica e la determinazione a sostenere l’Ucraina di Mario Draghi del resto della sua carovana. Idem a sinistra dove con un oplà da funamboli, si sono messi insieme quelli che volevano sostenere fino alla morte SuperMario con quelli che invece non l’hanno mai votato, ritenendolo l’esecutivo dei “poteri forti” contro i più deboli.

La realtà è che ogni coalizione annovera al suo interno almeno due posizioni opposte senza che nessuno si scandalizzi. È il risultato di una classe politica sempre più autoreferenziale e sempre più lontana dal sentore popolare. Una classe politica che pensa di poter sostenere tutto e il suo contrario contemporaneamente, facendo proprio il criterio di non contraddizione che Sigmund Freud assegnava al materiale onirico. Solo che qui si tratta del governo di uno dei Paesi più industrializzati e al tempo stesso più indebitati del mondo, così che i sogni si trasformano in incubi. Contemporaneamente, il fossato tra quello che una volta si sarebbe chiamato Paese reale contrapposto a Paese legale non viene vissuto come un dramma dagli italiani: semplicemente oltre la metà di loro considera la politica un orpello inutile se non addirittura dannoso, di cui si può tranquillamente fare a meno, basta occuparsi del proprio particulare: andazzo da queste parti in voga da cinquecento anni, che problema c’è?

Il voto è utile se va a chi si dimostra in grado di affrontare e possibilmente risolvere i problemi italiani. Ma se leadership e coalizioni sono queste, chi si sente di giudicarlo tale? Attenzione però. Ci sono anche quelli che considerano utile solo il non voto. Della serie: per vivere meglio, niente è più opportuno di un harakiri.

di Carlo Fusi

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