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abbandono scolastico

Abbandono scolastico e crisi demografica da record

Sono 465mila, più di uno su dieci, i giovani che nel 2022 hanno lasciato la scuola prima del diploma. Il problema dell’abbandono scolastico

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Abbandono scolastico e crisi demografica da record

Sono 465mila, più di uno su dieci, i giovani che nel 2022 hanno lasciato la scuola prima del diploma. Il problema dell’abbandono scolastico

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Abbandono scolastico e crisi demografica da record

Sono 465mila, più di uno su dieci, i giovani che nel 2022 hanno lasciato la scuola prima del diploma. Il problema dell’abbandono scolastico

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Sono 465mila, più di uno su dieci, i giovani che nel 2022 hanno lasciato la scuola prima del diploma. Il problema dell’abbandono scolastico

Sono 465mila, più di uno su dieci, i giovani che nel 2022 hanno abbandonato la scuola prima del diploma. In Europa fanno peggio di noi soltanto Spagna e Germania. È il desolante quadro emerso da uno studio dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese (Cgia Mestre) coinvolta direttamente dalle conseguenze di questa tendenza che condannerà le aziende a faticare enormemente a trovare personale qualificato. La situazione peggiore si presenta al Sud con le regioni Campania e Sicilia in cima alla classifica con un abbandono scolastico rispettivamente del 16,1% e del 18,8%.

Ma i problemi con cui deve fare i conti l’Italia sono molteplici. Oltre ad avere una fisiologica quota di studenti svogliati, il Paese invita i più bravi a guardare all’estero per vedere riconosciuta la propria professionalità. Nel 2022 sono stati 55mila quelli che hanno preferito varcare i confini nazionali alla ricerca di un’occupazione che avesse uno stipendio adeguato e la possibilità di una crescita professionale. A questo bisogna anche aggiungere il problema della denatalità, che nel 2023 ha fatto segnare il record negativo con meno di 400mila nascite. Circostanze che – messe assieme – stanno portando a un incredibile paradosso destinato ad aggravarsi con gli anni: nel Paese che abbiamo appena descritto molte posizioni lavorative (circa 500mila ogni anno) resteranno scoperte. Sempre guardando all’Eurozona, l’Italia ‘vanta’ anche un numero basso di diplomati e laureati, soprattutto nelle materie scientifiche.

Tutto il mondo riconosce all’Italia curiosità, idee e inventiva. Eppure queste stesse caratteristiche sembrano essere meno valutate e apprezzate proprio nei patrii confini, dove tra le realtà più penalizzate c’è proprio il luogo dove queste idee prendono forma: l’università. A fronte di qualche eccellenza posizionata al Nord, al Sud ci sono campus che somigliano più a eleganti parchi di ristoro che ad atenei, ragione che spinge molti genitori a spedire i propri figli in città come Roma o Milano.

Per capire il divario tra Nord e Sud basterebbe farsi un giro all’ora di pranzo nel parco adiacente al Politecnico di Milano. Prima in Italia per employer reputation (indicatore che valuta le opinioni dei datori di lavoro a livello globale su come le università formano i laureati per il mondo del lavoro), l’università milanese è un pullulare di giovani, molti provenienti dall’estero. Perché, se vogliamo, le cose le sappiamo fare bene e anche noi riusciamo ad attirare talenti. Diventa fondamentale quindi escogitare un piano d’azione che convinca le migliori risorse a fermarsi in Italia una volta terminati gli studi perché saranno quelle che scriveranno poi il futuro di questo Paese. L’unico problema è che sono sempre poche, troppo poche per poter guardare all’orizzonte con la necessaria fiducia. Lo sa bene anche il governo che sta puntando sugli istituti tecnici superiori (biennali postdiploma), perfettamente collegati al mondo del lavoro anche perché spesso direttamente finanziati dalle imprese. Funzionano benissimo ma sono pochi, pochissimi rispetto a nazioni come la Germania.

Nel complesso ci siamo mossi male e in ritardo: una miopia imperdonabile che si traduce in investimenti insufficienti verso il mondo universitario che, eccezion fatta per qualche nome noto, si mostra poco attrattivo. Una scelta che avrà inevitabili ricadute sulla nostra economia e di cui potremmo rimproverare solo noi stessi per non aver capito (e studiato) abbastanza.

di Ilaria Cuzzolin

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