Adidas “Pride swimsuit” scatena la bufera
Adidas per presentare la nuova linea di costumi da bagno femminili “Pride swimsuit” ha scelto un uomo come testimonial. La scelta ha scatenato la bufera contro la multinazionale
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Adidas “Pride swimsuit” scatena la bufera
Adidas per presentare la nuova linea di costumi da bagno femminili “Pride swimsuit” ha scelto un uomo come testimonial. La scelta ha scatenato la bufera contro la multinazionale
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Adidas per presentare la nuova linea di costumi da bagno femminili “Pride swimsuit” ha scelto un uomo come testimonial. La scelta ha scatenato la bufera contro la multinazionale
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Adidas per presentare la nuova linea di costumi da bagno femminili “Pride swimsuit” ha scelto un uomo come testimonial. La scelta ha scatenato la bufera contro la multinazionale
Più che orgoglio, è pregiudizio. O provocazione: Adidas presenta una nuova linea di costumi da bagno femminili e sceglie un uomo come testimonial. La collezione variopinta si chiama “Pride swimsuit” ed è stata pensata – dice il colosso dell’abbigliamento sportivo – «per rappresentare l’accettazione di sé stessi e la difesa della comunità Lgbtq». A oltranza, a costo di trascendere nel ridicolo. Perché questa volta il marketing inclusivo finisce per escludere. Le donne in primis: «Dopo le modelle rimpiazzeranno anche noi?». Sui social si scatena la campagna #BoycottAdidas. Nelle 24 ore successive al lancio la società ha perso circa il 3% in Borsa. E i consumatori critici esultano, rispolverando un motto sempre più popolare contro le imprese americane ansiose di cambiare faccia: Get woke, go broke. Se cedi al falso progressismo, finisci in bancarotta.
In realtà, le cose sono più complicate. La storia recente insegna che la forza dei brand supera di gran lunga l’urto dei boicottaggi, spesso di breve durata e seguiti da un rimbalzo economico di segno opposto. Ma soprattutto, le strategie aziendali di Adidas e colleghi – da Ford a Nike, passando per Disney – sono spinte da enormi incentivi strutturali. Perché abbracciare la causa woke? Questione di reputazione. Per misurarla oggi si ricorre al Corporate Equality Index (Cei): uno strumento che classifica le imprese in base alla loro inclusività. A stilarlo, in barba agli osservatori indipendenti, è la stessa Human Rights Campaign, la più grande associazione Lgbtq del Paese. «Il Cei esiste dal 2002 – spiega il “New York Post” – ma la sua importanza è cresciuta esponenzialmente da quando fa parte integrante del codice Esg (Environmental, Social and Corporate Governance)». E cioè di una «linea di imprenditoria etica» che filtra il tessuto produttivo americano e orienta le scelte di investimento. Come quelle dei giganti finanziari: basti pensare che BlackRock e Vanguard operano dichiaratamente in base ai criteri Esg.
Da qui il passo è breve. Se non sottostai al woke rating calibrato dalla Human Rights Campaign, cala il tuo punteggio Esg. Se quest’ultimo cala troppo, non rientri più nel portafoglio di BlackRock e Vanguard. E siccome BlackRock e Vanguard gestiscono un patrimonio totale di circa 17mila miliardi di dollari – l’equivalente del Pil della Cina – si capisce allora che Adidas abbia tutto l’interesse a non uscire dal giro grosso. In confronto, cedere sull’abbigliamento arcobaleno pare quasi una sciocchezza. Ma non si tiri in ballo l’etica, per favore: la pubblicità del nuovo costume da bagno va contro la decenza. Perché di questo si parlerebbe, se a parti invertite una ragazza in topless reclamizzasse un paio di boxer. O la parità di genere vale solo a momenti, a comando?
di Francesco Gottardi
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