Alla ricerca di ricercatori
Alla ricerca di ricercatori. L’allarme lanciato dall’Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (Adi): a luglio del prossimo anno quasi 9 ricercatori su 10 saranno a casa
Alla ricerca di ricercatori
Alla ricerca di ricercatori. L’allarme lanciato dall’Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (Adi): a luglio del prossimo anno quasi 9 ricercatori su 10 saranno a casa
Alla ricerca di ricercatori
Alla ricerca di ricercatori. L’allarme lanciato dall’Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (Adi): a luglio del prossimo anno quasi 9 ricercatori su 10 saranno a casa
Il precariato è una condizione strutturale del sistema universitario italiano, che non crede abbastanza nei giovani e lascia andare i talenti migliori. A lanciare l’allarme è l’Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (Adi), che ha presentato nei giorni scorsi in Senato i risultati dell’indagine annuale sulla condizione del settore. Il quadro che emerge è quello di un enorme buco nero che ha come unico responsabile lo Stato, incapace di offrire ai migliori cervelli italiani le opportunità per continuare a lavorare.
A luglio del prossimo anno quasi 9 ricercatori su 10 saranno a casa: l’86,5% delle posizioni attualmente attive scadrà infatti entro 12 mesi perché non è stato approntato alcun piano strutturale per la stabilizzazione degli attuali ricercatori e il reclutamento di nuovi: «Questa condizione metterà in seria difficoltà università e centri di ricerca, proprio mentre si richiedono sforzi straordinari per l’ampliamento dell’accesso a Medicina e il miglioramento dell’offerta formativa» segnala l’Adi. Uno scenario indegno di un Paese che vorrebbe essere al passo con i tempi: più del 30% delle posizioni ha una durata inferiore a un anno, con borse e assegni di ricerca ancora più brevi. Per non parlare ovviamente delle retribuzioni: 1.630 euro al mese, nonostante il 28,4% dei ricercatori dichiari di lavorare oltre 46 ore a settimana, senza alcuna tutela per straordinari, malattia o disoccupazione.
Dati già di per sé scarsamente attrattivi a livello generale, ulteriormente zavorrati dal fatto che i finanziamenti istituzionali – cioè quelli che consentirebbero di stabilizzare – sono appena il 24%, completamente insufficienti. Per la maggior parte i ricercatori italiani sono quindi legati a singoli progetti, finanziati tramite il Pnrr o il Prin (Progetti di rilevanza nazionale), che rappresentano oltre la metà delle borse e oltre il 42% degli assegni: «Serve un cambio di rotta della politica che porti a stabilizzare chi fa ricerca» chiede ancora Adi. «Ogni ulteriore rinvio significa cedere il futuro dell’Italia, favorire la fuga dei cervelli, condannare il Paese a uno sviluppo di bassa qualità, perdendo in partenza la sfida delle transizioni ecologica, digitale e demografica».
Il Ministero dell’Università ha investito 11 miliardi in infrastrutture di ricerca, ma è difficile capire chi ne usufruirà. Forse i ricercatori degli altri Paesi, ma anche in questo caso non tutti: lo scorso giugno si è chiuso il piano da 50 milioni di euro varato ad aprile e rivolto esclusivamente a chi fra i vincitori dei bandi “Starting grants” e “Consolidator grants” ha scelto l’Italia. Per tutto il resto si naviga a vista, senza un vero e proprio progetto pronto. Anche il “Programma Rita Levi Montalcini” (attivo dal 2009), che pure lo scorso anno ha consentito il rientro di 54 profili, non garantisce stabilizzazioni. «Stiamo iniziando ad abbozzare soluzioni per dare una casa ai ricercatori, dopo il 2026, su specifici progetti di ricerca nati col Pnrr» ha spiegato la ministra Bernini durante un Question time. Ma intanto i cervelli italiani si guardano attorno: chi può andrà all’estero, ma il 74% – secondo l’indagine interna Adi – «è molto preoccupato per la ricerca di un impiego nei prossimi due anni».
Così non resta che sperare (di nuovo) nei fondi europei, segnatamente in quelli che arriveranno all’Italia da “Choose Europe”, il piano da 500 milioni in tre anni varato dalla Commissione Ue per sostenere i ricercatori in qualsiasi fase della loro carriera. Compresi forse quelli americani, in fuga dagli Usa dopo i tagli imposti da Trump: per accoglierli in Europa, proprio dall’Italia è partito “RebrainEu”, un manifesto lanciato dal fisico Roberto Battistoni e sottoscritto da oltre mille scienziati.
Di Emanuele Lombardini
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