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Ambientalismo non ambientato

Al grido di “Vogliamo mangiare quello che coltiviamo e coltivare quello che mangeremo” fu lanciata la campagna contro il Tap (Trans Adriatic Pipeline). Sembra un paradosso ma a volte è l’ambientalismo che danneggia l’ambiente.
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Ambientalismo non ambientato

Al grido di “Vogliamo mangiare quello che coltiviamo e coltivare quello che mangeremo” fu lanciata la campagna contro il Tap (Trans Adriatic Pipeline). Sembra un paradosso ma a volte è l’ambientalismo che danneggia l’ambiente.
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Ambientalismo non ambientato

Al grido di “Vogliamo mangiare quello che coltiviamo e coltivare quello che mangeremo” fu lanciata la campagna contro il Tap (Trans Adriatic Pipeline). Sembra un paradosso ma a volte è l’ambientalismo che danneggia l’ambiente.
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Al grido di “Vogliamo mangiare quello che coltiviamo e coltivare quello che mangeremo” fu lanciata la campagna contro il Tap (Trans Adriatic Pipeline). Sembra un paradosso ma a volte è l’ambientalismo che danneggia l’ambiente.
Al grido di “Vogliamo mangiare quello che coltiviamo e coltivare quello che mangeremo” fu lanciata la campagna contro il Tap (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che dall’Azerbaijan – attraverso la Turchia, la Grecia e l’Albania – approda sulle coste pugliesi di San Foca. Si annunciava un disastro ambientale. La battaglia per il No al Tap aveva mobilitato il M5S in Puglia che, alle elezioni politiche del 2018, raggiunse il 44% di voti e determinò il successo della pentastellata Barbara Lezzi, poi nominata ministro per il Sud. Quest’ultima sosteneva che non avrebbe posato un asciugamano da spiaggia sul gasdotto, dimenticando che è collocato in un microtunnel a 10 metri di profondità, ma tant’è. Esponenti del M5S promettevano al popolo che, una volta giunti al governo, avrebbero disdetto il contratto Tap, dimenticando che erano previste sanzioni multimiliardarie per inadempienza contrattuale, che avrebbero pagato i contribuenti. Oggi, a lavori ultimati, la Fee (Fondazione per l’educazione ambientale) ha identificato il mare, la spiaggia e l’area di san Foca tra quelle meritevoli di “Bandiera Blu”. Gli ulivi espiantati, causa lavori, sono stati ricollocati e crescono rigogliosi. A pieno regime il Tap potrà fornire all’Italia fino a 20 miliardi di metri cubi di gas l’anno, sui 76 miliardi di metri cubi di cui ha bisogno l’Italia. Il disastro ambientale non c’è stato e il nostro Paese utilizza il gas azero, utilissimo in questo periodo di problemi con le forniture russe. È ancora un tabù, quello dei termovalorizzatori, specialmente nel Centro-Sud Italia. Su 37 impianti operativi, il 70% si trovano infatti al Nord. Eppure la direttiva comunitaria per i rifiuti urbani prevede che il 65% sia destinato al riciclo, il 25% alla valorizzazione termica e solo il 10% alle discariche. È la paura dell’inquinamento, ma basterebbe controllare i fumi del termovalorizzazione di Bolzano per accertare che non ce n’è motivo. Per di più, l’impianto illumina 20mila abitazioni e ne riscalda 10mila, diminuendo l’apporto di inquinanti da altre fonti. Anche di fronte a numeri e verifiche, c’è un rifiuto ostinato. Non basta informare che su 500 termovalorizzatori in Europa l’80% dista meno di 5 km dalle città, che dei 4 impianti esistenti a Vienna uno è a meno di mezzo km dal centro e che il termovalorizzatore di Copenhagen è dotato di bar e ristorante, di una parete per le scalate e di un impianto sciistico sulla sua cima. Lo scorso anno il premio di Capitale europea dell’ambiente è stato assegnato a Lahiti (Finlandia) che, appunto, ha un termovalorizzatore. Il Comune di Roma rappresenta emblematicamente il rifiuto alla termovalorizzazione che chiuderebbe il ciclo dei rifiuti, oltre a fornire energia elettrica e termica. Dei due impianti, uno, quello regionale, è stato chiuso mentre l’altro non è sufficiente, sicché i rifiuti raggiungono destinazioni nazionali ed estere e ogni giorno 162 tir girano per le strade inquinando l’ambiente. Un esempio per tutti: i rifiuti organici romani prendono la via del Friuli, consumando ogni anno 3 milioni e mezzo di litri di gasolio, così disseminando nell’ambiente un milione e 750mila kg di anidride carbonica. La sindaca Virginia Raggi non ha voluto i termovalorizzatori e il suo successore Roberto Gualtieri condivide la sua scelta. Rimangono le discariche, cioè lo smaltimento più inquinante. Risultato: tassa rifiuti alta, ambiente inquinato e, in aggiunta, Capitale sporca. Pochi giorni fa i giudici del Tar di Palermo hanno bocciato il ricorso del Comune di Agrigento che, per infondati motivi ambientali e archeologici, aveva fatto opposizione alla costruzione di un metanodotto interrato a servizio del rigassificatore di Porto Empedocle. Il progetto è del 2004! Altro caso storico è quello del rigassificatore di Brindisi: 800 milioni di investimenti e 5mila posti di lavoro attesi. Proposto nel 2002, il progetto è stato cancellato 10 anni dopo. Oggi, quel metano sarebbe stato una manna. Decenni di populismo hanno lasciato segni: è l’ambientalismo che danneggia l’ambiente.   di Primo Mastrantoni

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