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Ipocrisia, di scusa in scusa

Ci si affanna nell’evitare termini che possano anche lontanamente offendere gli altri. Ma non si reagisce minimamente davanti a violenze molto più gravi. Il buonismo ci sta offuscando.
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Ipocrisia, di scusa in scusa

Ci si affanna nell’evitare termini che possano anche lontanamente offendere gli altri. Ma non si reagisce minimamente davanti a violenze molto più gravi. Il buonismo ci sta offuscando.
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Ipocrisia, di scusa in scusa

Ci si affanna nell’evitare termini che possano anche lontanamente offendere gli altri. Ma non si reagisce minimamente davanti a violenze molto più gravi. Il buonismo ci sta offuscando.
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Ci si affanna nell’evitare termini che possano anche lontanamente offendere gli altri. Ma non si reagisce minimamente davanti a violenze molto più gravi. Il buonismo ci sta offuscando.
Viviamo un periodo strano, pieno di contraddizioni. Si asteriscano le parole per non offendere terzi o quarti generi, ci si inginocchia per qualsiasi cosa, ci si indigna contro chi usa termini come netturbino, si dibatte all’infinito se il diritto alla salute valga più o meno della libertà di espressione. Allo stesso tempo chi picchia qualunque genere è fuori dopo pochi mesi, nessuno fa più caso ai tanti che dormono all’aperto nelle fredde notti invernali, si pagano due volte i dipendenti pubblici perché non si assentino e facciano il loro lavoro, non ci si stupisce che dopo 16 weekend di fila i nostri centri storici siano ancora invasi da manifestazioni non autorizzate di violenti no-vax. Stanno vincendo l’ipocrisia e il politicamente corretto. La forma batte la sostanza e il buonismo dilaga. I tempi della comunicazione, oramai velocissimi nel darti notizie e nell’archiviarle subito dopo, ci abituano a digerire poco ciò che viviamo e a stare nelle cose il tempo che meritano. E se poi ci si rende conto che la si è combinata grossa – troppo grossa perché possa passare inosservata – il buonismo viene di nuovo in aiuto lanciando come ciambella di salvataggio lo ‘scusismo’. Ovvero il costume di scusarsi, di chiedere scusa: in sé sarebbe anche un pregio, se non fosse che nella degenerazione buonista è diventato una mera dichiarazione di stile, una parola pronunciata per evitare guai peggiori. Siamo circondati da personaggini che si scusano su tutto. Chiede scusa il medico Bacco, che si definisce orgogliosamente primo pentito dell’era Covid, dopo aver legittimato nelle piazze italiane con le sue teorie pseudo scientifiche le convinzioni anti vaccino di migliaia di ignoranti. Chiede scusa Lorenzo Damiano, candidatosi sindaco di Conegliano con una lista chiamata “Norimberga 2” dopo aver urlato per mesi contro il «finto virus inventato dai poteri forti», e che ora è stato salvato dalla scienza dopo settimane di terapia intensiva. Si scusa il ministro degli Esteri Di Maio: qualche anno fa aveva fatto un documentario sul suo viaggio in Francia per solidarizzare con i gilet jaune impegnati a sfasciare Parigi contro Macron; oggi dichiara invece che voterebbe proprio lui alle prossime presidenziali francesi. Ha chiesto scusa anche un cretino che qualche sera fa, in diretta tv, ha toccato il sedere a una giornalista. E nel dubbio ha chiesto scusa persino il conduttore dallo studio che, per aver cercato di far mantenere la calma alla collega, dopo l’episodio è stato prima apostrofato come sessista dai soliti tuttologi e poi sospeso dalla sua emittente. Viviamo un momento di grande, collettivo e ipocrita scusismo. Il buonismo ci sta offuscando. Le scuse sono un atto nobile, ma dovremmo recuperare una minima proporzione tra il danno procurato e il pentimento. Dovrebbero avere qualcosa in più da restituire. E anche un po’ di vergogna. Sino ad allora, sarebbe più nobile il tacere. Perché non sono scuse vere ma piuttosto un pretesto per continuare a legittimare qualunque futura sciocchezza. di Peter Durante

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