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Il cannolo da cui passa la storia

La curiosa origine araba del cannolo: una storia per insegnarci che infondo abbiamo tutti le stesse origini.
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Il cannolo da cui passa la storia

La curiosa origine araba del cannolo: una storia per insegnarci che infondo abbiamo tutti le stesse origini.
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Il cannolo da cui passa la storia

La curiosa origine araba del cannolo: una storia per insegnarci che infondo abbiamo tutti le stesse origini.
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La curiosa origine araba del cannolo: una storia per insegnarci che infondo abbiamo tutti le stesse origini.
Anche le origini del cannolo portano a un Paese molto lontano, più che a un Paese ad un impero, quello arabo. Ciò deve servire per ricordarci che in fondo siamo tutti figli della stessa madre. Gli ingredienti che compongono il cannolo sono da ricondurre al viaggio degli uomini verso le nostre terre, come il lungo viaggio delle farine della cannella, della canna da zucchero, dello strutto. Possiamo andare indietro, avanti Cristo: in Sicilia con l’arrivo dei shekelesh arrivano tantissimi nuovi ingredienti che negli anni hanno trasformato i siciliani in veri avanguardisti nella cucina, tanto che Labdaco da Siracusa aprì la prima scuola di cucinieri e con Miteco ne aprirono anche in Grecia. Poi fu la volta del primo libro di gastronomia di Archestrato di Gela: spiegava ai suoi amici dove mangiare, cosa e quando. Approfondiamo ora la storia del cannolo, lasciamo che a ogni morso ci racconti il suo viaggio. Quando si mangia, si viaggia. Le sue origini si confondono con elementi leggendari. Secondo la versione più accreditata questo dolce sarebbe nato nella zona di Caltanissetta come evoluzione saracena di un’antica ricetta apprezzata fin dai tempi di Cicerone (questore romano di Lilybeo, l’attuale Marsala), ma credo che il riferimento al racconto di quest’ultimo si possa associare di più alla cassata siciliana in quanto ha avuto una evoluzione pazzesca ma il suo inizio lo si vuole con un pane ricotta e miele. Il politico, oratore e filosofo romano descrive l’antesignano del cannolo come una cialda farinacea a forma di tubo, contenente un dolce ripieno a base di latte. Furono le donne dell’harem del castello del signore di Kalt El Nissa (l’attuale Caltanissetta) a dare i natali alla ricetta del cannolo moderno, poi perfezionata dai pasticceri palermitani. Ancora oggi i cannoli, fatti secondo la ricetta antica, si trovano in un paesino in provincia di Palermo: Piana degli Albanesi, in origine Piana dei Greci, anch’essi partiti a causa dell’arrivo nelle loro terre degli ottomani. Fu così che una comunità di più di 4mila arberesh arrivò a Palermo. Il vescovo di allora li relegò in un pezzo di terra dove pensava non sarebbero cresciute nemmeno le erbacce. È invece è una delle zone più fertili della Sicilia. Ma va ricordato anche Dattilo in provincia di Trapani. Quest’ultima e quella di Palermo sono le due province dei cannoli scurissimi, in ragione di una maggiore quantità di cacao e, a volte, di caffè. Il che necessariamente data la ricetta in epoca successiva al 1600. Ricordiamo che Kalt El Nissa, in arabo, sta per castello delle donne, da intendersi appunto come harem. Ma secondo un’altra versione, a mettere a punto la ricetta del cannolo siciliano così come lo conosciamo oggi sarebbero state le stesse donne degli harem che, una volta arrivati i normanni e ricristianizzata l’isola, li trasformarono in monasteri. Le suore dei conventi, anche di clausura, perfezionarono quindi la ricetta del cannolo così come lo conosciamo oggi. Il nome del dolce discenderebbe invece dalle canne di fiume attorno alle quali veniva arrotolata la pasta per dare forma alla cialda (oggi sono d’acciaio). Quindi il cannolo è arrivato dagli arabi e conservato dai siciliani ormai cristianizzati e dagli arberesh di culto cattolico e di rito latino. Ancora una volta siamo più uniti che mai. Il segreto per mangiare un cannolo a regola d’arte? L’involucro di pasta va riempito immediatamente prima di mangiare il cannolo, altrimenti la cialda perde quella croccantezza che è tipica del dolce. Capita di trovarli in vetrina, già riempiti. Lasciateglieli. di Cuciniere Rocco Costanzo

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