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Come vedono l’Italia (nel mondo) gli italiani

Che idea hanno dell’Italia gli italiani? È una domanda molto importante da porsi, in un passaggio di incredibile delicatezza. E non bisogna ignorare la realtà
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Come vedono l’Italia (nel mondo) gli italiani

Che idea hanno dell’Italia gli italiani? È una domanda molto importante da porsi, in un passaggio di incredibile delicatezza. E non bisogna ignorare la realtà
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Come vedono l’Italia (nel mondo) gli italiani

Che idea hanno dell’Italia gli italiani? È una domanda molto importante da porsi, in un passaggio di incredibile delicatezza. E non bisogna ignorare la realtà
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Che idea hanno dell’Italia gli italiani? È una domanda molto importante da porsi, in un passaggio di incredibile delicatezza. E non bisogna ignorare la realtà
Che idea hanno dell’Italia gli italiani? In un passaggio di incredibile delicatezza, non c’è giorno in cui non si abbia la netta sensazione di uno strisciante e cieco isolazionismo. Di un cercare di ignorare la realtà. Una follia, per un piccolo Paese la cui ricchezza dipende dalla capacità di esportare e mantener viva una grande macchina produttiva, elementi per i quali è fondamentale un approccio geopolitico maturo, realista e soprattutto coordinato con alleati e partner. Terrorizzate, consistenti fette della pubblica opinione sembrano invece sempre più disposte ad abbandonarsi a visioni di puro comodo, avulse dai reali interessi dell’Italia e dai costi necessari a sostenerle. Ecco perché negli ultimi giorni siamo tornati sull’analisi dei tanti, inquietanti putiniani d’Italia e di chi sul Medio Oriente insiste ad avere posizioni manichee e sconnesse da una realtà secolare. Sono atteggiamenti dalle radici antiche, che per decenni nel dopoguerra produssero una profonda e bipartisan antipatia per il nostro fronte nella guerra fredda. Un fronte anche interno, beninteso, che ha garantito libertà, sviluppo, democrazia e un benessere diffuso inconcepibile nella povera Italia agricola. Come oggi.  Che idea hanno questi italiani dell’Italia, per tornare alla domanda d’apertura? Da “sinistra”, generalmente confusa, raffazzonata, fatta per lo più di generici richiami alla pace, al terzomondismo, a un vago internazionalismo. Detestati da “destra”, dove si sono coltivati i miti dell’Europa matrigna, dell’invasione, sino ad arrivare al trionfo retorico della “sostituzione etnica”. A unire questi deliri propagandistici solo l’avversione per l’Occidente. Se una storia così vecchia, però, riesce a rinnovarsi è perché le grandi scelte di politica estera del Paese non sono state mai vissute come un’esigenza collettiva, ma come delega a chi esercitava il potere. Nonostante tutti quei mal di pancia, per l’intera guerra fredda nella sostanza abbiamo avuto uno dei sistemi politici più stabili del mondo: le piazze ribollivano, ma i governi erano granitici nelle scelte di appartenenza. Cambiavano i politici in copertina, spesso scambiandosi solo di posto, mai le politiche. La lunga stagione successiva alla caduta del Muro ha deteriorato certezze e confini stabili, le scelte si sono fatte sempre più complesse e trasversali.  Risultato: la delega ha perso forza e il potere è finito per assomigliare sempre più ai cittadini che rappresenta, divisioni e antipatia comprese. Un governo dissonante dai nostri interessi come quello “gialloverde” nella Prima Repubblica non sarebbe stato concepibile. I presidenti del consiglio Draghi e Meloni hanno garantito su base personale un rigido atlantismo, mettendo sotto il tappeto resistenze antioccidentali durissime e inquietanti.   Gli italiani credono di essere ancora in libera uscita e poter detestare liberamente chiunque, senza rischiare mai nulla di concreto come accadeva ai tempi del Muro? Bella domanda. di Fulvio Giuliani

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