Il potere ha cambiato gusto e ha deciso di essere conformista e non più permissivo. Il nuovo volto della “libertà d’espressione”.
«Non rispetto nessun conformismo e tanto meno il conformismo del rispetto umano di sinistra». Se qualcuno oggi provasse a pronunciare queste parole ragionando di quote rosa, di politicamente corretto o dell’essere sempre alla ricerca dei buoni e basta, verrebbe bersagliato come un san Sebastiano dai giornali, dalle tv, financo dai politici. Eppure in Italia nel 1968 – l’anno in cui l’attore Carmelo Bene pronunciò queste parole – lo scandalo del pensiero era ancora possibile.
Cosa è successo in mezzo secolo e passa? Oggi che anche le considerazioni più semplici e magari ingenue, come quella fatta dallo storico Alessandro Barbero sulle donne – «sono insicure e poco spavalde, così hanno meno successo» – scatenano un coro unanime (o quasi) nel bersagliare chi le ha pronunciate? Forse è semplicemente accaduto che i sessantottini siano andati al potere – nei giornali, tra le élite – diventando più conformisti di un democristiano degli anni Sessanta. Una spiegazione in parte vera ma anche consolatoria se guardiamo fuori dall’Italia, nel mondo occidentale, agli Stati Uniti o alla vecchia Europa, dove i simboli di una civiltà sono sotto processo ogni giorno. Cristoforo Colombo in America non lo sopportano quasi più e gli rinfacciano di esser stato troppo cattivo con i nativi. A New York sono arrivati a rimuovere la statua di Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori degli Usa, esposta nella camera di consiglio, a causa del suo passato da schiavista. I Rolling Stones, proprio perché cita lo schiavismo, non cantano più “Brown Sugar” nei loro concerti e un genio come Pier Paolo Pasolini oggi difficilmente lo farebbero scrivere sul “Corriere della Sera”. Se Cavour tornasse tra noi e proponesse le sue leggi sull’agricoltura probabilmente partirebbero girotondi in tutta Italia.
L’Occidente si è incartato attorno al suo stesso mito fondante – la libertà – confondendola col politicamente corretto e con le ovvietà quotidiane. Un cortocircuito che ha generato un conformismo senza precedenti, espellendo ogni opinione scandalosa dal dibattito pubblico. In questo, oltre ai giornali, la televisione e la pubblicistica sono la misura della palude: rispetto alla tv dissacrante e provocatoria degli anni Ottanta e di buona parte dei Novanta – ma anche, seppur sotto la cappa di un certo gusto democristiano, degli anni Sessanta e Settanta – oggi solo chi è conforme ha spazio. Chissà cosa direbbe Pasolini, che ai suoi tempi aveva ben presente la permissività del potere d’allora rispetto all’esser fuori dal coro. Noi diciamo che il potere probabilmente ha cambiato gusto e ha deciso di essere conformista e non più permissivo. Tanto, per abbaiare bastano i social. Dove i bla bla diventano bau bau, rivelandosi anch’essi terribilmente conformisti.
di Massimiliano Lenzi
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Tag: giornalismo, società
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