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Corpi con vagine
“Per colpa” del politicamente corretto la più prestigiosa rivista scientifica inglese The Lancet è sotto accusa per non aver utilizzato la parola “donne” ma “corpi con vagine”.
| Società
Corpi con vagine
“Per colpa” del politicamente corretto la più prestigiosa rivista scientifica inglese The Lancet è sotto accusa per non aver utilizzato la parola “donne” ma “corpi con vagine”.
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Corpi con vagine
“Per colpa” del politicamente corretto la più prestigiosa rivista scientifica inglese The Lancet è sotto accusa per non aver utilizzato la parola “donne” ma “corpi con vagine”.
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“Per colpa” del politicamente corretto la più prestigiosa rivista scientifica inglese The Lancet è sotto accusa per non aver utilizzato la parola “donne” ma “corpi con vagine”.
Le parole sono importanti. Ancora di più se a pronunciarle è una delle più prestigiose riviste medico-scientifiche inglesi come The Lancet. La polemica sui social ha avuto inizio dopo la pubblicazione, nell’ultimo numero di settembre/ottobre 2021, dell’articolo:“Historically, the anatomy and physiology of bodies with vaginas has been neglected” letteralmente “Storicamente, l’anatomia e la fisiologia dei corpi con le vagine sono state trascurate”. Le intenzioni erano più che buone, ma l’articolo è stato accusato di becero sessismo: era infatti dedicato a una mostra sulla storia e i tabù delle mestruazioni, tenutasi nel mese di settembre al Vagina Museum di Londra. Uniformarsi al “politically correct”, però, è diventata un’arma a doppio taglio: nel tentativo di usare un linguaggio inclusivo si è finito per discriminare proprio chi non si vorrebbe, o forse dovrebbe. Un paradosso. Le critiche sono arrivate via twitter dall’attivista scozzese Susan Dalgtey, dal giornalista del Telegraph e del Daily Mail Calvin Robinson, e dallo psicologo Geoffrey Miller. Anche nel nostro Paese l’articolo non è passato inosservato, con l’indignazione della giornalista e scrittrice Lorella Zanardo nella sua pagina facebook.
Il caporedattore della rivista, Richard Horton, è intervenuto sulle pagine del Daily Telegraph per scusarsi con i lettori che, offesi, hanno provveduto numerosi a disiscriversi tempestivamente dal The Lancet: “Chiedo scusa ai lettori che si sono sentiti offesi dalla frase apparsa sulla nostra copertina e nell’articolo. Allo stesso tempo vorrei sottolineare che la salute transgender è una realtà importante dei sistemi sanitari moderni che purtroppo viene trascurata”. The Lancet, di certo non è il primo (e forse neanche l’ultimo) ad aver modificato il linguaggio nel modo più inclusivo possibile.
Alcuni esempi: l’associazione inglese per la ricerca sul cancro, Cancer Research Uk, ha eliminato la parola “donne” dalla campagna per il pap test sostituendola con “ogni persona – con la cervice tra i 25 e i 64 anni”. L’organizzazione no profit Bloody Good Period ha sdoganato il termine “menstruator” sostituendolo proprio alla parola “donne”; l’amministrazione di Brighton e Hoven ha diffuso agli studenti più piccoli il concetto che le mestruazioni non riguardano le donne ma “all genders”. Persino la British Medical Association ha indicato a tutti i suoi membri (160 mila), che lavorano nella sanità privata e negli ospedali del Regno Unito, di non chiamare una donna incinta “futura mamma”, ma “persona incinta”, per non discriminare gli uomini intersex o trans che possono avere gravidanze. L’università di Manchester ha abolito le parole “madre” e “padre” sostituendole con generici plurali “they/them/theirs”; infine, al Brighton and Sussex University Hospitals NHS Trust, le ostetriche hanno sostituito l’espressione “allattamento al seno” con “allattamento al petto”, “latte materno” con “latte umano”, “madre” o “padre” con “genitore che partorisce”.
Una domanda sorge spontanea: in quest’epoca stressata dal politicamente corretto, se al posto di “corpo con vagine” ci fosse stato scritto “donne” la polemica sarebbe insorta ugualmente?
E, forse, non tutti i mali vengono per nuocere, questo “errore” ha riportato il movimento femminista e quello Lgbtq+ di nuovo uniti per schierarsi dalla stessa parte.
di Claudia Burgio
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