Nel suo recentissimo “Ma se io volessi diventare una fascista intelligente? L’educazione civica, la scuola, l’Italia”, Claudio Giunta osserva come nel testo della legge dell’agosto 2019 che ha reintrodotto l’educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado gli sia «sembrato di vedere i segni di un fenomeno che pare affiori spesso nella scuola e nei discorsi sulla scuola, e cioè una scarsa fiducia, anche da parte di certi insegnanti, in quello che possiamo chiamare il normale processo di acculturazione, il suo oblio addirittura: come se insegnare bene italiano, matematica, storia, fisica, geografia, il curriculum tradizionale insomma (con le giuste addizioni: inglese, informatica), non fosse veramente il modo migliore per formare dei ragazzi intelligenti e consapevoli; come se per insegnare a essere civili ci fosse bisogno di creare la materia civiltà».
La diffidenza nell’educazione mediata dall’istruzione, sostituita da prediche e sermoni – diffidenza manifesta nelle leggi e nelle Indicazioni nazionali, nelle Raccomandazioni delle varie istituzioni europee fino all’ultima delle circolari ministeriali, veri e propri «patchwork di enunciati di lunare astrattezza, impalpabili come l’etere» – irrompe oramai peraltro anche nelle aule universitarie (perlomeno in quelle in cui si coltivano le discipline umanistiche e sociali), sempre più deputate a sensibilizzare e catechizzare piuttosto che a istruire.
Nella frenesia volta a plasmare il cittadino irreprensibile a partire dai banchi della scuola dell’obbligo, il fanatismo imperversante i corridoi ministeriali nelle ultime, rutilanti “Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica” vaticina «naturali interconnessioni» tra la geografia e l’educazione alla tutela «delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari» [sic]. Non solo, l’imprescindibile educazione alla «legalità» dovrà spaziare dalla Costituzione ai regolamenti «dei circoli ricreativi» fino alla promozione di «valori e abiti di contrasto alla criminalità organizzata e alle mafie».
Quanto di queste elencazioni sesquipedali e rivelatrici di un vero e proprio delirio di onnipotenza potrà tradursi poi in abitudini, in inclinazioni seriamente interiorizzate e non raccogliticce? Crediamo ben poco. Non saranno certo, allora, le velleitarie precettistiche ministeriali a convertire al verbo democratico (ammesso e non concesso che questa debba essere una preoccupazione di un insegnante di liceo) quella sedicenne che al termine di una lezione chiese a Giunta perché mai la scuola avrebbe dovuto impedirle di «diventare una fascista intelligente».
Di Luca Tedesco
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