I rider, in italiano, si chiamavano fattorini. Incaricati dei recapiti a domicilio. Lavoravano, per lo più, per gli esercenti che li utilizzavano – come il salumiere anziché il verduraio o il vinaio – in modo da aumentare la clientela fornendo quel servizio supplementare. Al magro soldo dell’esercente univano le mance. Per lo più erano giovani, molti anche giovanissimi. Gli odierni rider operano in un mercato completamente diverso, intanto perché lavorano per piattaforme che connettono un venditore a un compratore, sicché lavorano nell’intermediazione, ragione per cui i recapitatori sono un pezzo essenziale della loro catena del valore. Senza di loro non potrebbero esistere.
Solo che le piattaforme fanno un lavoro sofisticato, mentre i rider sono manodopera pedalante e non qualificata. Fin qui sono stati considerati autonomi, ovvero responsabili di sé stessi, senza legami strutturali con le piattaforme che li utilizzano. Già diverse sentenze, però, in giro per l’Unione europea, spingono verso quello che ora è il manifestato orientamento della Commissione: sono da considerarsi dei dipendenti e come tali vanno inquadrati.
Dal punto di vista concettuale è inappuntabile. Dal punto di vista pratico, però, si dovrà ritagliare un inquadramento specifico perché, se si uniforma al lavoro dipendente oggi esistente, semplicemente quell’ultimo anello della catena sparisce. Oppure diventa troppo oneroso, il che si rifletterebbe sul consumatore e metterebbe fine alla velocissima espansione cui abbiamo assistito.
di Gaia Cenol
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