Dietro il woke il vuoto
Nel 2021 il giornalista statunitense Bret Stephens scrisse sul “The New York Times” un articolo dal titolo: “Perché l’ideologia woke fallirà”

Dietro il woke il vuoto
Nel 2021 il giornalista statunitense Bret Stephens scrisse sul “The New York Times” un articolo dal titolo: “Perché l’ideologia woke fallirà”
Dietro il woke il vuoto
Nel 2021 il giornalista statunitense Bret Stephens scrisse sul “The New York Times” un articolo dal titolo: “Perché l’ideologia woke fallirà”
Nel 2021 il giornalista statunitense Bret Stephens scrisse sul “The New York Times” un articolo dal titolo: “Perché l’ideologia woke fallirà”. In Italia questo termine, woke, viene usato da poco tempo, altre espressioni vengono di solito utilizzate che rientrano più o meno nello stesso campo semantico: “politicamente corretto” o, all’inglese, “cancel culture”. Woke può essere tradotto come “consapevole”, ovvero l’atteggiamento di chi presta attenzione alle ingiustizie sociali legate soprattutto a questioni di genere e di etnia.
Dopo la morte delle ideologie del secolo scorso, dopo che definizioni come destra e sinistra lasciano ormai il tempo che trovano, il woke si è insinuato nel dibattito politico, ora anche in Italia (come sempre in ritardo sul mondo anglosassone) come vera e propria nuova ideologia, soprattutto da parte della cosiddetta sinistra, con un atteggiamento di dogmatismo intollerante e censorio su molti aspetti della vita quotidiana.
Le piattaforme social hanno contribuito a rendere questo dibattito violento e intollerante. Questo atteggiamento, in realtà, è in contrasto evidente con quei valori di tolleranza e dialogo cui dovrebbe invece aspirare chi sente di appartenere storicamente alla sinistra. Negli Stati Uniti un dibattito critico sul woke è in corso anche tra i progressisti e tra diversi opinionisti liberal.
Ritornando al giornalista Stephens, conservatore, il woke è destinato a morire col tempo perché agisce in modo prescrittivo, non apre un vero dibattito o una riforma, ma utilizza le armi dell’indottrinamento. In Italia siamo come sempre indietro, persiste quella che a suo tempo perfino Obama osò criticare, «un’idea di purezza, l’idea che non si debba mai scendere a compromessi». Non è attivismo, ma solo una subdola forma di autoritarismo.
Oggi, soprattutto in pubblicità, si tende a far passare un certo messaggio: “Speciali, non diversi”. Ottima idea se ciò significa rifuggire gli stereotipi. Inutile e addirittura dannosa in molti altri casi. Il grande psicologo Gregory Bateson sosteneva che «la saggezza è saper stare con la differenza senza eliminare la differenza». Come esseri umani siamo costantemente immersi nella diversità. Siamo però portati a darle un connotato negativo. Come se sentirsi o essere diverso fosse un modo per farci sentire sbagliati, inadeguati, non ‘normali’.
Albert Einstein l’aveva capito: «Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido».
di Andrea Pamparana
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