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Questione di genere, grammatica e sostanza

Siamo proprio sicuri che la battaglia per il rispetto di genere e di chi non si senta inquadrabile in alcun genere passi per far violenza alla nostra lingua con asterischi e Schwa?
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Come si conduce la sacrosanta battaglia per superare le discriminazioni di genere, colore della pelle e differenti preferenze sessuali? Non c’è – modesta opinione – una risposta univoca ed è presuntuoso pretendere che ci sia.

Molto difficile, per esempio, non provare un moto di dubbio e forte perplessità davanti alla notizia che l’aeronautica militare inglese riserverà un 40% di quote per i propri futuri piloti a donne e minoranze (neri, asiatici, etc.). Questo significa escludere all’origine ottimi candidati, dalla perfetta preparazione, per la sola “colpa” di essere bianchi ed eterosessuali. Una discriminazione in una professione ad altissimo contenuto specialistico, voluta con le migliori intenzioni inclusive, ma pur sempre una discriminazione.

Dire, come immediatamente si dice, che questo sia lo scotto da pagare dall’uomo bianco, occidentale ed eterosessuale per secoli di supremazia non di rado tramutatasi in soprusi è una classica argomentazione logica, ma che fa acqua. Perché la discriminazione è e resta tale, a prescindere che il discriminato sia nero o bianco, eterosessuale od omosessuale. Si può giocare quanto si vuole con la terminologia, ma la realtà non cambia. E la discriminazione porta sempre a una minore qualità generale.

Si dica con onestà intellettuale, piuttosto, che si discrimina oggi per favorire un doloroso, ma necessario percorso che porti, nel giro di alcune generazioni, ad un grado di parità e inclusione molto più ampio di quello che abbiamo raggiunto oggi. Se possibile, senza dimenticare i giganteschi passi avanti compiuti.

A proposito di termini, anche la grammatica è finita nel vortice e ieri sera ne abbiamo parlato a lungo, nella prima puntata di “Password” del venerdì, in cui La Ragione è in onda con il sottoscritto su RTL 102.5 in compagnia di Cecilia Songini e Niccolò Giustini. Ci siamo confrontati su * e Schwa, davanti ai quali (dovrei scrivere davanti ai qual*?!) mantengo tutte le mie perplessità. Che sono anche di stile, ma soprattutto di sostanza.

Siamo proprio sicuri che la battaglia per il rispetto di genere e di chi non si senta inquadrabile in alcun genere passi per far violenza alla nostra lingua e con i pelosi dibattiti sul chiamare una donna “direttore“ o “direttrice“? Vogliamo proprio chiuderci in camicie di forza lessicali, soddisfatti dal grande risultato ottenuto definendo una donna “rettora“ o “arbitra“?!
Fermo restando l’assoluto rispetto dovuto a chi non si senta inquadrabile nella definizione binaria, in assenza di un’esplicita richiesta dell’interessato (a o *), forse sarebbe preferibile non misurare il nostro grado di civiltà su * e Schwa.

Anche fra ragazzi e giovani è il caso di combattere con decisione una battaglia che punti alla sostanza, come la perdurante differenza di salari medi tra donne e uomini, la molto minore presenza femminile nei CdA e nei vertici societari e così via.
E converrebbe condurla includendo e motivando, non discriminando.

Di Fulvio Giuliani

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