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Dolce ipocrisia

Di fronte allo scandalo della donna ricoperta di cioccolato, come dovremmo valutare l’oggettivazione delle donne nella nostra quotidianità?
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È diventato virale il post su Linkedin del manager milanese Federico Mazzieri. L’uomo ha denunciato il VOI hotel Golfo Aranci, dove è stato ospite, per aver utilizzato il corpo femminile come un oggetto. La foto che accompagna il post, infatti, ritrae una ragazza in costume ricoperta di cioccolato e distesa in mezzo al buffet dei dolci. Una scena che Mazzieri ha trovato raccapricciante, soprattutto considerando il commento della figlia quattordicenne, che alla vista di quello che sarebbe dovuto essere uno “spettacolo”, ha esordito dicendo: “Papà che schifo, questo non è un paese dove potersi realizzare”.
 
Sono stati tantissimi i commenti di supporto al manager milanese. Ma allora com’è possibile che un post faccia così scalpore quando in Italia già da decenni in tutto il Paese, dalla Lombardia, al Lazio e persino in Puglia, è diventata una vera moda il Nyotaimori, dove il cibo viene servito su un corpo femminile nudo. E il costo di una cena non è neppure economico. Un altro aspetto che stupisce è sapere che in realtà in quell’atto rivoluzionario Mazzieri si è ritrovato ad essere l’unico a denunciare uno spettacolo al quale, invece, tantissimi adulti non vedevano l’ora di assistere. E che per l’ennesima volta sia stata una giovane a sottolineare una “normalità” degli adulti, che sana non è.
 
E se il tema è davvero l’oggettivazione del corpo della donna, allora, come dovremmo valutare il ruolo che svolgono tantissime donne nella tv e nel mondo dello spettacolo? Senza dimenticare i diritti spesso reclamati dalle sex worker, che chiedono che il loro venga considerato un lavoro a tutti gli effetti?
 
Sicuramente aver sollevato questa tematica – in un momento in cui i fatti di cronaca non fanno che denunciare i numerosi casi di femminicidi e stupri, come l’ultimo caso di Palermo – è utile. Ma lascia dietro di sé una realtà complessa e scomoda, spesso circondata da un’ipocrisia difficile persino da riconoscere.
 
Di Claudia Burgio

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