Fare scuola
Tutto sembra concorrere nell’idea sbagliatissima che non valga la pena investire più di tanto nella formazione di altissimi livello. Abbiamo creato un ascensore sociale bloccato, in ossequio a un egualitarismo di facciata e inefficace.
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Tutto sembra concorrere nell’idea sbagliatissima che non valga la pena investire più di tanto nella formazione di altissimi livello. Abbiamo creato un ascensore sociale bloccato, in ossequio a un egualitarismo di facciata e inefficace.
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Tutto sembra concorrere nell’idea sbagliatissima che non valga la pena investire più di tanto nella formazione di altissimi livello. Abbiamo creato un ascensore sociale bloccato, in ossequio a un egualitarismo di facciata e inefficace.
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Tutto sembra concorrere nell’idea sbagliatissima che non valga la pena investire più di tanto nella formazione di altissimi livello. Abbiamo creato un ascensore sociale bloccato, in ossequio a un egualitarismo di facciata e inefficace.
Il dato potrà essere confermato soltanto nel prossimo mese di luglio, ma le cifre preliminari sulle iscrizioni nelle università italiane sono sconfortanti. Caliamo di tre punti percentuali, che tradotto in numeri assoluti significa 10mila matricole in meno, distribuite praticamente su tutte le facoltà. Qualche debole luce in fondo al tunnel si intravede solo nelle materie Stem (scientifico-matematico-informatiche), tra le quali le facoltà più teoriche – come matematica e fisica – sono in calo, mentre architettura, ingegneria e soprattutto informatica sembrano andare con una marcia completamente diversa. Se nel caso dei futuri architetti e ingegneri l’aumento di iscrizioni è ancora percentualmente maggiore fra i maschi, in informatica si assiste a un vero e proprio boom tra le ragazze, con un significativo +16%. Segnale di una possibile inversione di tendenza, che però non deve spingere a toni entusiastici perché le ragazze restano a tutt’oggi un sesto dei ragazzi iscritti, continuando a scontare ritardi culturali evidentissimi nelle scelte di indirizzo del proprio futuro.
La formazione in Italia, in particolare quella di più alto livello, non è certo un problema che possa essere affrontato solo in termini di genere. La sconfortante realtà è che, invece di ridurre il gap con gli altri Paesi, l’Italia sta perdendo terreno e studenti. Il perché non è certo un mistero: scontiamo un atavico limite ‘filosofico’, per il quale risulterebbe vergognoso o persino immorale collegare la formazione al successo professionale e in particolare economico. Ciò che nel mondo anglosassone è scontato, ossia che un’istruzione universitaria d’élite sia il viatico per le migliori soddisfazioni di carriera e finanziarie (insomma anche far soldi), da noi è ancora vissuto come un’offesa alla purezza della cultura e dell’insegnamento. Una sciocchezza colossale, dai danni calcolabilissimi: meno iscritti all’università, meno laureati, meno competitività del nostro sistema. A valle, incapacità di ricoprire le posizioni più qualificate, che non a caso il nostro sistema produttivo denuncia come irrimediabilmente scoperte per decine di migliaia all’anno. Un clamoroso autogol, con il quale mettiamo fuori gioco e a volte neppure facciamo scendere in campo intere nostre generazioni.
Una vera e propria ‘tassa’ culturale che paghiamo da troppo tempo e che si manifesta in varie forme: molti professori continuano a sconsigliare di frequentare il penultimo anno delle superiori in tutto o in parte all’estero, minacciando gravi conseguenze nel rendimento al rientro in Italia. Una grande esperienza formativa, sia in termini puramente scolastici che personali, viene così negata per un approccio arcaico alla formazione. Delle pressioni familiari sulle studentesse, perché si iscrivano perlopiù a facoltà ‘classiche’, abbiamo già accennato ed è una realtà con cui le ragazze spesso devono fare i conti.
La scuola media superiore, del resto, è tutt’oggi una lunga corsa al traguardo finale, rappresentato dall’esame di maturità. Una prova-non prova, in cui tutti vengono promossi e che mantiene misteriosamente inalterato il suo fascino di feticcio e minaccia. In realtà, l’esame non determina alcunché del futuro degli studenti. Al più, ha un paradossale effetto retroattivo, influenzando l’intero percorso di studi e, come appena illustrato, non di rado limitandolo.
Tutto sembra concorrere all’idea sbagliatissima che non valga la pena investire più di tanto nella formazione di alto e altissimo livello, che siano solo chiacchiere quelle di chi si sgoli in favore di una scuola e di un’università capaci di premiare il merito e garantire il miglior futuro possibile, a prescindere dalle condizioni di partenza. Quell’ascensore sociale che abbiamo consapevolmente bloccato, in ossequio a un egualitarismo di facciata, peloso e inefficace.
di Fulvio Giuliani
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