Fine di una dinastia, il passaggio dagli Agnelli agli Elkann
Il passaggio dagli Agnelli agli Elkann. Fine di una dinastia che ha fatto la storia d’Italia, e ne è parte ancora oggi

Fine di una dinastia, il passaggio dagli Agnelli agli Elkann
Il passaggio dagli Agnelli agli Elkann. Fine di una dinastia che ha fatto la storia d’Italia, e ne è parte ancora oggi
Fine di una dinastia, il passaggio dagli Agnelli agli Elkann
Il passaggio dagli Agnelli agli Elkann. Fine di una dinastia che ha fatto la storia d’Italia, e ne è parte ancora oggi
Fra chi conosce la storia dell’automotive, l’immagine che s’è palesata è quella di Gianni Agnelli prodigo in cure psicosomatiche nei confronti di alcuni coetanei in una Rsa. Come un qualsiasi Berlusconi, insomma. Un’immagine surreale. Perché contrasta con un immaginario collettivo che blinda la figura dell’Avvocato in una dimensione di intoccabilità sotto l’aspetto formale (e sostanziale).
Anche negli anni più rabbiosi come quelli del terrorismo – al di là degli slogan di piazza – a essere crocifisso sul Golgota del capitalismo più rapace fu infatti Cesare Romiti, suo amministratore delegato nel ventennio 1976-1996. Le apparizioni dell’Avvocato erano precedute e seguite da annunci e cronache scevre da attacchi pesanti a livello di opinione pubblica. La notizia della messa in prova ai servizi sociali di suo nipote John Elkann ha fatto assai rumore, ma non ha stupito chi segue l’automotive. Essenzialmente per una ragione: Elkann non c’entra più nulla con l’automotive.
Il presidente di Stellantis e della Ferrari è un finanziere, non un industriale. E i tempi in cui suo nonno diceva «Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia» appartengono all’archeologia di un Paese che ha dissipato il suo secolare patrimonio automobilistico e solo per ‘passione’ resta aggrappato come può e finché può all’immagine di una Ferrari che, pur non passandosela bene dal post Schumacher, continua a godere di una tifoseria di stampo fideistico. Ma «la ragione è un’altra cosa», come insegna Blaise Pascal.
Le fredde cronache passate al setaccio del lume della ragione ci restituiscono fotografie non solo incoerenti con “l’album di famiglia” (Agnelli), ma pure macchiate d’inchiostri giudiziari. Chiudendo le indagini sugli illeciti fiscali contestati nell’ambito dell’eredità di Marella Agnelli (vedova di Gianni Agnelli e nonna degli Elkann, morta nel 2019), la Procura di Torino ha chiesto l’archiviazione per Lapo e Ginevra Elkann, oltre che per Urs Robert Von Grunigen, notaio di Marella Caracciolo, lasciando aperta una contestazione nei confronti di John Elkann.
La Procura ha poi accettato la richiesta dei legali del presidente di Stellantis di messa in prova ai servizi sociali per un anno, per ottenere la sospensione del procedimento penale. A margine di questo accordo, il versamento di 183 milioni di euro all’Agenzia delle entrate da parte dei fratelli Elkann per neutralizzare le contestazioni di dichiarazioni infedeli e truffa ai danni dello Stato.
Più che a un terremoto scandalistico-finanziario, questo episodio appartiene alla nuova storia di quella che fu “La famiglia” d’Italia. Quella che aveva segnato tutto il Novecento, nel bene e nel male, regalando agli storici alcuni momenti topici. Fra essi, quello degli operai asserragliati con i fucili nel marzo del 1920 nell’ambito del cosiddetto ‘sciopero delle lancette’; e quello del nonno di nonno Gianni – il patriarca Giovanni – che quando dovette andare a bussare cassa a Mussolini si produsse in un simpatico siparietto con sua moglie Clara. La signora Boselli gli disse infatti che per quell’incontro col duce gli sarebbe servita una camicia nera. Che non aveva. Sarebbe quindi uscita a comprarla. «Lascia perdere – le rispose lui in rigoroso piemontese – tingine una bianca, tanto, poi dovrai ritingerla».
Nel succitato Biennio rosso gli operai chiamarono la Fiat “La feroce”. Appellativo rinverdito durante il ‘regno’ di Vittorio Valletta, l’amministratore delegato dal pugno duro, durissimo anche con sé stesso, che pranzava sulla sua scrivania con un brodino e che alla sera, a fabbrica ormai deserta, andava a trovare in nosocomio sua figlia Fede, poi morta di tumore nel 1957. Come è facile constatare, si tratta di tutta un’altra storia. Una storia che poco o nulla c’entra ormai con gli Elkann.
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche

In Italia si laureano solo i figli dei laureati

Morto Stefano Benni, lo scrittore aveva 78 anni

Innovazione senza paura d’innovare
