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Genitori, insegnanti e l’autorità perduta

Il fenomeno della domanda di serietà nella scuola. O, se preferite, domanda di severità. O rivalutazione dell’autorità, dopo decenni di antiautoritarismo
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Genitori, insegnanti e l’autorità perduta

Il fenomeno della domanda di serietà nella scuola. O, se preferite, domanda di severità. O rivalutazione dell’autorità, dopo decenni di antiautoritarismo
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Genitori, insegnanti e l’autorità perduta

Il fenomeno della domanda di serietà nella scuola. O, se preferite, domanda di severità. O rivalutazione dell’autorità, dopo decenni di antiautoritarismo
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Il fenomeno della domanda di serietà nella scuola. O, se preferite, domanda di severità. O rivalutazione dell’autorità, dopo decenni di antiautoritarismo

C’è un fenomeno interessante, negli ultimi tempi. Ma forse non è soltanto degli ultimi tempi, forse viene da più lontano ma noi non ce n’eravamo accorti. O non ci eravamo resi conto di quanto fosse potente.

Di che cosa si tratta? Lo chiamerei semplicemente domanda di serietà nella scuola. O, se preferite, domanda di severità. O rivalutazione dell’autorità, dopo decenni di antiautoritarismo. A testimoniarlo ci sono (almeno) due sondaggi degli ultimi giorni. Il primo è stato condotto dal portale “La tecnica della scuola” e ha rilevato che circa l’80% delle famiglie e degli insegnanti è favorevole ad attribuire un maggiore peso al voto in condotta, in linea con le recenti proposte del ministro Valditara: sua reintroduzione nella media inferiore, maggiore incidenza sulla media dei voti, rilevanza ai fini dell’ammissione agli esami finali.

Il secondo sondaggio, dovuto a “Quorum/YouTrend”, apparentemente non c’entra, ma a ben pensarci c’entra eccome. Perché ha scoperto che il 55% delle famiglie sarebbe d’accordo con l’introduzione delle uniformi delle scuole. La percentuale sale al 65-70% fra gli elettori di destra e fra quelli dei Cinque Stelle, mentre crolla al 44% fra gli elettori del Pd. Difficile non vedere in questo orientamento l’esigenza di ridurre le distrazioni in classe, ma anche di combattere le diseguaglianze, le discriminazioni, i privilegi in materia di abbigliamento. Ed è sconcertante che questa esigenza sia sentita dagli elettori di tutti i partiti eccetto quelli del partito – il Pd – che più si batte (o dice di battersi) per l’eguaglianza.

In realtà il risultato del sondaggio è meno illogico di come appare. È ormai da diversi decenni che i sociologi sanno che gli strati popolari preferiscono la destra e che la base elettorale dei partiti di sinistra sono i cosiddetti ceti medi riflessivi, istruiti e urbanizzati. Alla luce di ciò non è strano che l’uniforme o divisa della scuola, uguale per tutti, non piaccia a chi – grazie al maggiore reddito e alla maggiore istruzione – ha più possibilità di differenziarsi rispetto alla massa. Sono soltanto i figli dei ricchi, infatti, che possono accedere ai capi di abbigliamento più esclusivi, così acquisendo vantaggi nella competizione per l’attenzione di compagni e compagne di classe.

È positiva questa nuova domanda di serietà (e di eguaglianza!) nell’ambiente scolastico? Direi proprio di sì. Con però un’avvertenza importante: il fatto che le famiglie chiedano più autorità nella scuola è anche il segno del loro fallimento. Perché se i ragazzi sono tanto spesso fuori controllo è prima di tutto perché due generazioni di genitori hanno sostanzialmente rinunciato a educarli. Quella del ’68, svalutando la cultura alta e assecondando l’abbassamento della difficoltà degli studi. Quella successiva, con la sciagurata alleanza genitori-figli contro gli insegnanti, intimiditi e vessati attraverso la minaccia del ricorso al Tar in caso di bocciatura dei pargoli.

Dunque, ben venga il ravvedimento dei genitori. Purché non si nascondano dietro un dito: se oggi chiedono disperatamente agli insegnanti di tornare a esercitare l’autorità è perché tanti di loro, quella benedetta autorità, hanno rinunciato a esercitarla sui propri figli. E ora sperano che siano gli insegnanti a levar loro le castagne dal fuoco.

di Luca Ricolfi

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