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Ha alfabetizzato un milione di italiani

Mentre l’Italia si riscattava dai sacrifici del secondo dopoguerra, la televisione realizzava un programma dal titolo “Non è mai troppo tardi”, condotto dal maestro Alberto Manzi. Una pietra miliare andata in onda dal 1960 fino al 1968, e che ha alfabetizzato più di un milione di italiani.
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Ha alfabetizzato un milione di italiani

Mentre l’Italia si riscattava dai sacrifici del secondo dopoguerra, la televisione realizzava un programma dal titolo “Non è mai troppo tardi”, condotto dal maestro Alberto Manzi. Una pietra miliare andata in onda dal 1960 fino al 1968, e che ha alfabetizzato più di un milione di italiani.
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Ha alfabetizzato un milione di italiani

Mentre l’Italia si riscattava dai sacrifici del secondo dopoguerra, la televisione realizzava un programma dal titolo “Non è mai troppo tardi”, condotto dal maestro Alberto Manzi. Una pietra miliare andata in onda dal 1960 fino al 1968, e che ha alfabetizzato più di un milione di italiani.
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Mentre l’Italia si riscattava dai sacrifici del secondo dopoguerra, la televisione realizzava un programma dal titolo “Non è mai troppo tardi”, condotto dal maestro Alberto Manzi. Una pietra miliare andata in onda dal 1960 fino al 1968, e che ha alfabetizzato più di un milione di italiani.
Favolosi quegli anni. Gli anni Sessanta del secolo scorso, naturalmente. L’Italia si riscattava dai sacrifici del secondo dopoguerra, il benessere si espandeva ed esplodeva il boom economico. Ma restavano più di una stortura e una piaga che era come un’infamia: l’analfabetismo. A contrastarla ci pensa la televisione – allora ‘buona maestra’ – realizzando un programma che va in onda nel tardo pomeriggio e che insegna a leggere e a scrivere. Il titolo è incoraggiante: “Non è mai troppo tardi”. A suggerirne l’ideazione è stato il direttore generale della Pubblica istruzione, il pedagogista Nazareno Padellaro. La scelta del maestro cui affidare la conduzione ricade su Alberto Manzi. Un insegnante assai titolato, non uno qualsiasi. Ha due lauree – una in Filosofia e Pedagogia, l’altra in Biologia – e, allievo di Volpicelli, potrebbe aspirare a un futuro accademico. Ma dopo la guerra, quando lo chiamano a insegnare al carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma, la sua città, a differenza di tanti altri non sa dire di no. Per lui e i suoi ragazzi questa esperienza si rivela straordinaria. Realizzano il giornalino “La tradotta” e inventano una trama che diventa un romanzo: “Grogh, storia di un castoro”, premiato col “Collodi” per gli inediti, pubblicato da Bompiani nel 1950 e tradotto in 28 lingue. Orgoglioso, Manzi ricorderà: «Di tutti quei ragazzi, quando sono usciti dal carcere, solo 2 su 94, così mi fu detto, sono rientrati in prigione». Un monito per chi ritiene che la rieducazione dei detenuti sia solo un astratto principio. Poi, nella metà degli anni Cinquanta, Manzi si reca in Sud America per una ricerca scientifica sulle foreste amazzoniche. Ma invece di appassionarsi allo studio delle formiche, come da incarico dell’Università di Ginevra, è colpito dalla povertà e dall’ignoranza degli indios. Affiora così la sua vocazione di maestro: per lui l’alfabetizzazione di quelle persone diventa una missione alla quale si dedicherà per anni. Nel 1960 arriva il provino alla Rai. Gli basta poco per convincere i funzionari di via Teulada: solo un gesso e una lavagna nera per insegnare l’abc della lingua italiana. Alla Rai costa poco, lo stipendio di maestro ‘distaccato’ più il “rimborso camicia”: «Il gessetto nero che usavo per fare i disegni – spiegherà – era molto grasso, si attaccava ai polsini della camicia e li rovinava». La trasmissione va in onda dal 1960 fino al 1968, colleziona 484 puntate, viene premiata dall’Unesco nel 1965 a Tokyo ma soprattutto alfabetizza più di un milione di italiani. Perfino alcuni bambini in età prescolare imparano anzitempo: per loro, evidentemente, non era ancora troppo presto… Un maestro testardo e nemico della burocrazia, Alberto Manzi. Quando alla fine degli anni Settanta approda la riforma delle schede di valutazione, lui si rifiuta di redigerle. Viene sospeso dall’incarico con stipendio dimezzato. In seguito, costretto a compilarle, scriverà per ciascun bambino: «Fa quel che può e quel che non può non fa». Una lezione per la scuola di oggi: non è mai troppo tardi per liberarsi della burocrazia.   Di Antonino Cangemi

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