I Millennials, costretti a tornare da mamma e papà
| Società
Cala il tasso di occupazione per la generazione compresa tra i 25 e i 34 anni. Così i millennials, troppo “vecchi” per rientrare nelle manovre di sostegno, devono tornare a vivere a casa dei genitori.

I Millennials, costretti a tornare da mamma e papà
Cala il tasso di occupazione per la generazione compresa tra i 25 e i 34 anni. Così i millennials, troppo “vecchi” per rientrare nelle manovre di sostegno, devono tornare a vivere a casa dei genitori.
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I Millennials, costretti a tornare da mamma e papà
Cala il tasso di occupazione per la generazione compresa tra i 25 e i 34 anni. Così i millennials, troppo “vecchi” per rientrare nelle manovre di sostegno, devono tornare a vivere a casa dei genitori.
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I millennials italiani non se la passano molto bene, ormai è un dato di fatto. Per anni definiti choosy, impossibilitati a dimostrare il contrario per mancanza di reali possibilità lavorative, sono ora protagonisti di un nuovo trend: il ritorno a casa dai genitori.
La causa? Sicuramente la pandemia globale, che ha rovinosamente impedito a molti, per l’ennesima volta, di proseguire il proprio percorso di emancipazione. Secondo l’Istat, infatti, nell’ultimo anno l’occupazione sarebbe diminuita soprattutto nella fascia d’età dei ragazzi compresi tra i 25 e i 34 anni.
La quasi totale mancanza di tutele e di azioni concrete, nel contrasto dei danni economici causati dalla pandemia, non ha fatto altro che aggravare una situazione già complessa.
Una generazione prima criticata, poi ignorata, impantanata nelle sabbie mobili dei contratti di apprendistato e stipendi ridotti all’osso.
L’Unione Europea con il programma Next Generation EU (NGEU), investe nel futuro delle nuove generazioni attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si parla di riforme importanti riguardo l’orientamento nella transizione scuola-università, nel tentativo di diminuire lo skill mismatch (il gap tra le competenze richieste nel mondo del lavoro e quelle effettivamente acquisite). Altra voce importante saranno gli investimenti destinati alle borse di studio per l’accesso all’università e per il potenziamento dei Centri per l’Impiego, nonchè per il servizio civile universale nei giovani tra i 18 e 28 anni.
Attraverso queste manovre si stima un incremento dell’occupazione giovanile pari al 3,3% nel periodo 2024-2026.
Ma ancora una volta, cosa succede a quella fascia di “ragazzi” che ormai non rientrano più nella categoria giovani? Coloro che dovrebbero essere ormai ben avviati nel mondo del lavoro ma che faticano a trovare una stabilità?
Con l’arrivo della pandemia le esigenze di molti sono cambiati. Le spese sempre più insostenibili (basta guardare a una città come Milano con gli affitti più cari d’Italia e stipendi decisamente non adeguati), l’impossibilità di investire in un mutuo, la necessità di sentirsi al sicuro e non costantemente sull’orlo di un precipizio, ha reso la convivenza con i propri genitori non una scelta ma un vera e propria necessità.
Una tendenza che ha principalmente a che fare con una sensazione di smarrimento collettivo, una crisi identitaria.
Sono sempre di più i ragazzi senza un reale obiettivo. Il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training) ha visto nel 2020 un incremento importante: il 23,3% dei giovani italiani non studia, non lavora e non è coinvolto in un percorso formativo.
Gli effetti di questa situazione rischiano di protrarsi ben oltre la pandemia ingabbiando questa generazione in uno status di giovani perenni, che adulti lo saranno solo sulla carta d’identità.
Il fallimento sarà definitivo solamente se le manovre previste continueranno a non considerare a pieno un’intera categoria.
I millennials non cresceranno se non gli verrà data una vera possibilità.
di Elena Bellanova
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