Il cielo s’è visto dal sottosuolo di Brescia
“Mi sento estranea, colpevole di una colpa che non ho”. Queste parole dette una ragazza russa, a Brescia con altri suoi coetanei per uno scambio universitario, ci ricordano che abbiamo un dovere: salvare i ragazzi dalla discriminazione e distinguere chi governa da chi è vittima.
Il cielo s’è visto dal sottosuolo di Brescia
“Mi sento estranea, colpevole di una colpa che non ho”. Queste parole dette una ragazza russa, a Brescia con altri suoi coetanei per uno scambio universitario, ci ricordano che abbiamo un dovere: salvare i ragazzi dalla discriminazione e distinguere chi governa da chi è vittima.
Il cielo s’è visto dal sottosuolo di Brescia
“Mi sento estranea, colpevole di una colpa che non ho”. Queste parole dette una ragazza russa, a Brescia con altri suoi coetanei per uno scambio universitario, ci ricordano che abbiamo un dovere: salvare i ragazzi dalla discriminazione e distinguere chi governa da chi è vittima.
“Mi sento estranea, colpevole di una colpa che non ho”. Queste parole dette una ragazza russa, a Brescia con altri suoi coetanei per uno scambio universitario, ci ricordano che abbiamo un dovere: salvare i ragazzi dalla discriminazione e distinguere chi governa da chi è vittima.
Nel mondo di appena prima, che è poi quello che ancora abitiamo, gli studenti si muovono per il mondo, le università organizzano incontri, i ragazzi formano comitive. In quel mondo ci sono anche adempimenti banali e incontri rituali. Uno si è svolto, in queste ore, presso la metropolitana di Brescia. Che non è solo un mezzo di trasporto ma anche un’opera d’arte funzionale, il luogo ove ammirare il lavoro di artisti, un esempio di buona amministrazione, efficienza e pulizia. È lì che un gruppo di studenti stranieri, in Italia per scambi universitari, sono stati raccolti per avere i previsti biglietti e così potere vivere meglio la città.
Chi li ha ricevuti li ha anche intrattenuti, come si conviene, sulle cose belle che a Brescia potranno visitare, a parte e si spera dopo i loro impegni di studio. Visti i giorni che stiamo vivendo ha anche detto qualche parola su ciò che avviene in Ucraina. Una studentessa ha voluto ringraziare, perché ucraina ella stessa. Ha raccontato quel che dalla famiglia ha saputo, della sua preoccupazione, del dolore che non pensava di dovere provare.
Subito dopo una sua collega ha voluto far presente il proprio disagio: mi sento come fossi estranea a tutti voi, colpevole di una colpa che non ho, o forse ho, perché sono russa. Un ragazzo ha voluto aggiungere: sono kazaco, certe pessime esperienze noi le abbiamo già vissute e di cose da raccontare ce ne sarebbero molte. È stato così che, da quel sottosuolo, si è visto il cielo. E forse al cielo s’è imprecato.
Ieri mattina un racconto simile è arrivato dai pressi di Londra, popolato da molti campus universitari. In quel caso si era a mensa, ciascuno si faceva i fatti propri, ciascuno sceglieva le pietanze preferite, ma la fila con i vassoi a un certo punto si è fermata: due ragazze la ostruivano, avevano deposto i vassoi e si stavano abbracciando. Nessuno ha osato protestare. Tutti – fermi, gelati – sapevano: una era russa, l’altra ucraina.
Noi abbiamo un dovere, nei confronti di questi ragazzi. Studenti che considerano il mondo casa propria e che il mondo s’arricchisce a considerarli di casa. Abbiamo il dovere di non concedere nulla ai criminali che hanno creato questa situazione, abbiamo il dovere di piegarli e sappiamo che, per farlo, stiamo pagando e pagheremo un prezzo alto, compreso quello – orribile – di far sentire i russi come degli appestati. Ma canaglia appestata è chi li governa, chi li ha cacciati nella riprovazione generale. No, non quei ragazzi, non i russi cui ci legano la storia, la cultura, la gioia di vivere. Quegli studenti sono tutti nostri figli, anche se qualche genitore è un criminale.
di Sofia Cifarelli
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