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Si parla di doppio cognome in Italia. Ma in alcuni Paesi non esiste neanche.

La Corte Costituzionale ha definito “discriminatoria e lesiva” la scelta del solo cognome del padre ma già nel 2016 era possibile attribuire il doppio cognome. Ma negli Paesi cosa accade?

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Si parla di doppio cognome in Italia. Ma in alcuni Paesi non esiste neanche.

La Corte Costituzionale ha definito “discriminatoria e lesiva” la scelta del solo cognome del padre ma già nel 2016 era possibile attribuire il doppio cognome. Ma negli Paesi cosa accade?

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Si parla di doppio cognome in Italia. Ma in alcuni Paesi non esiste neanche.

La Corte Costituzionale ha definito “discriminatoria e lesiva” la scelta del solo cognome del padre ma già nel 2016 era possibile attribuire il doppio cognome. Ma negli Paesi cosa accade?

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La Corte Costituzionale ha definito “discriminatoria e lesiva” la scelta del solo cognome del padre ma già nel 2016 era possibile attribuire il doppio cognome. Ma negli Paesi cosa accade?

Ora la Corte costituzionale definisce «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre», ma già nel 2016 aveva stabilito che per un figlio è possibile ottenere il doppio cognome.

La sentenza attuale nasce per una famiglia lucana con tre figli: i primi due col cognome della madre; il terzo registrato in automatico con quello del padre perché nato dopo il matrimonio tra i due genitori, malgrado la richiesta di chiamarlo come i fratelli. Ma il caso del 2016 è forse più interessante perché relativo a una coppia italo-brasiliana il cui figlio aveva un cognome solo nei documenti italiani e due in quelli brasiliani.

Anche l’autore di queste note ha due figli in questa situazione: Stefanini per i documenti italiani, Stefanini Polo per quelli colombiani. E la moglie – cittadina italiana per matrimonio – è Polo per i documenti italiani, Polo Montero per quelli colombiani. Da cui in passato qualche problema in supermercati che nel documento italiano con un cognome non riconoscevano la cliente della carta fedeltà concessa col doppio cognome… In entrambe le lingue iberiche vale infatti la stessa regola del doppio cognome, malgrado l’immagine di maschilismo associata alle relative culture: il primo della madre e il secondo del padre in portoghese; il contrario in spagnolo.

Attenzione però, che il femminismo arriva solo fino a un certo punto. Il cognome “della madre”, in effetti, è quello del nonno materno, che comunque si perde alla generazione successiva. Sennò si arriverebbe a 16 cognomi in un secolo! Nei documenti vanno entrambi, ma in genere è quello paterno che si usa. Per il portoghese, la legge soprattutto brasiliana è elastica nel riconoscere valore legale ai soprannomi spesso usati per tagliar corto: Edson Arantes do Nascimento detto Pelè; Luiz Inácio da Silva detto Lula. In spagnolo, quando il cognome paterno è banale, viene la tentazione di distinguersi coi due cognomi assieme: Mario Vargas Llosa, Gabriel García Márquez, Federico García Lorca. Chi ha problemi con la figura paterna tende a volte a usare solo il cognome materno: José Zapatero, Pablo Picasso.

Il giapponese ha sempre riconosciuto la possibilità di scegliere tra il nome del padre e quello della madre. Ma la maggior parte delle lingue ha sempre usato il cognome paterno: in molte lingue slave rafforzato dal patronimico. Quanto a Giava e al Tibet, il cognome lì proprio non esiste. Come in Islanda, dove si usa il nome del padre più -son (figlio) o -dóttir (figlia).

Negli Stati Uniti deriva invece dalla tradizione l’uso di dare come secondo nome il cognome della madre. Ma non è obbligo di legge. George Herbert Walker Bush era il figlio di Prescott Sheldon Bush e di Dorothy Weir Walker, ma il figlio suo e di Barbara Pierce è stato chiamato George Walker Bush.

È stato in omaggio alle nuove idee sull’eguaglianza dei sessi che alcuni Paesi negli ultimi decenni hanno iniziato a dare libertà di scelta tra cognome paterno e materno: la Germania dal 1976, la Svezia dal 1982, la Danimarca dal 1983, la Francia dal 2005, l’Austria dal 2013.

Per quanto l’Italia, non resta ora che attendere l’approvazione da parte del Parlamento di una legge che, accogliendo la nuova sentenza della Consulta, adotti uno fra questi diversi modelli.

  di Maurizio Stefanini

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