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Il governo e i dehors “permanenti”

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Nella stagione del Covid non potevano esserci dubbi sui dehors ma occorreva avere un permesso per l’occupazione del suolo pubblico e pagare la relativa tassa

Dehors

Il governo e i dehors “permanenti”

Nella stagione del Covid non potevano esserci dubbi sui dehors ma occorreva avere un permesso per l’occupazione del suolo pubblico e pagare la relativa tassa

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Il governo e i dehors “permanenti”

Nella stagione del Covid non potevano esserci dubbi sui dehors ma occorreva avere un permesso per l’occupazione del suolo pubblico e pagare la relativa tassa

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Nella stagione del Covid non potevano esserci dubbi: chi, fra bar e ristoranti, aveva la possibilità di utilizzare gli spazi antistanti all’esercizio, in modo da servire i clienti all’aperto, doveva poterlo fare. Subito e senza formalità. Attrezzare gli spazi esterni – che sempre quello significa dehor in francese – non è che fosse una novità, lo si era sempre fatto. Soltanto che, per servirsene, occorreva avere un permesso per l’occupazione del suolo pubblico e pagare la relativa tassa.

Superato il Covid nulla avrebbe impedito che il ritorno alla normalità non implicasse la chiusura di tutti quegli spazi, ma un loro rientro nella regolarità. Dare per acquisito il fatto compiuto, supporre che hai diritto a occupare il suolo pubblico soltanto perché lo occupasti in emergenza, è profondamente sbagliato. Si chiama “pubblico” perché è di tutti. Sui marciapiedi si deve poter camminare, per le strade si deve poter passare, ai disabili non bastano gli scivoli per salire sul marciapiede, occorre anche lo spazio fisico per servirsene. Quindi servono regole e limiti, tanto più che a quello servono le amministrazioni locali.

Accodarsi all’esistente significherebbe varare l’ennesima sanatoria che nega l’interesse collettivo e sbeffeggia quanti hanno un’autorizzazione e ne pagano il costo fiscale. Ed è singolare che una tale proposta possa essere ventilata da un governo di destra, da cui ci si aspetterebbe legge e ordine, non accaparramento e disordine.

di Sofia Cifarelli

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