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Il lavoro da remoto rimane e deve essere regolamentato

Il lavoro da remoto non è più un’opzione emergenziale ma una realtà e un’esigenza che si riflette anche nei sentimenti dei lavoratori stessi. Ciò che manca è un sistema di norme collettive che lo legittimi.

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Il lavoro da remoto rimane e deve essere regolamentato

Il lavoro da remoto non è più un’opzione emergenziale ma una realtà e un’esigenza che si riflette anche nei sentimenti dei lavoratori stessi. Ciò che manca è un sistema di norme collettive che lo legittimi.

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Il lavoro da remoto rimane e deve essere regolamentato

Il lavoro da remoto non è più un’opzione emergenziale ma una realtà e un’esigenza che si riflette anche nei sentimenti dei lavoratori stessi. Ciò che manca è un sistema di norme collettive che lo legittimi.

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Il lavoro da remoto non è più un’opzione emergenziale ma una realtà e un’esigenza che si riflette anche nei sentimenti dei lavoratori stessi. Ciò che manca è un sistema di norme collettive che lo legittimi.

È stata una necessità durante i mesi più bui della pandemia, ma il lavoro da remoto non è una faccenda solo emergenziale bensì una prospettiva più che realistica per il futuro di numerose professioni. Se già nel 2021 un terzo dei dipendenti italiani ha svolto la propria mansione da casa, quello che è rilevante sottolineare – e che emerge dallo studio realizzato dall’Istituto nazionale per lAnalisi delle politiche pubbliche – è che su un campione di 45mila persone interpellate quasi la metà, esattamente il 46%, sarebbe disposto a farsi tagliare lo stipendio pur di proseguire con il lavoro agile almeno un giorno alla settimana.

Non fare i conti con questi dati, e soprattutto con una tendenza che altrove è già realtà, significa rimanere ancorati a una concezione del mondo del lavoro che è destinata a tramontare. Il Covid ha dato una spallata decisiva, ma comunque l’idea che per svolgere la propria professione lo si debba fare necessariamente in ufficio sta scivolando sempre più nel passato. Certo, per mettere in piedi un sistema che regga – al di là di lockdown ed emergenze – mancano ancora tantissimi tasselli.

In questo anno e mezzo le aziende si sono autoregolate, la gestione è stata concordata internamente. Serve invece mettere in piedi un sistema che funzioni, che garantisca efficienza ma anche condizioni di lavoro decorose. A partire dal tanto dibattuto diritto alla disconnessione: se chi va in ufficio a una cert’ora torna a casa, lavorando da casa rischia che quegli orari non vengano rispettati.

Un po’ come per la tanto discussa Dad, esiste anche un tema più prettamente tecnico riguardante il funzionamento delle reti: è chiaro che se si lavora da remoto la connessione deve essere stabile e garantita per tutti i lavoratori.

Questo apre la parentesi sui costi: in altri Paesi e in alcune aziende private sono già state istituite delle formule grazie alle quali ai dipendenti viene garantito un rimborso spese o una sorta di ‘portafoglio’ per coprire i maggiori costi. Perché è ovvio che se si lavora da casa il datore di lavoro risparmia: in costi sulla sede, in costi sulle bollette. Ma quel risparmio si traduce invece in un maggior aggravio sugli esborsi delle famiglie. Così come, in Francia già accade, sarebbe importante prevedere un tot da destinare all’acquisto per esempio di sedie ergonomiche, in modo che le postazioni di lavoro da remoto siano il più possibile confortevoli.

Insomma i temi sono molteplici e di certo non tutti affrontabili con norme collettive, però ignorare la questione non è davvero più possibile. Il lavoro da remoto funziona, lo abbiamo visto, e per certi versi fa contenti tutti.

Non resta che trasformarlo in possibilità concreta e non solo in soluzione di emergenza.

  di Annalisa Grandi

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