Don Antonio Mazzi racconta il dialogo e la storia a lieto fine di un ragazzino bullo, rimasto solo in classe perché i genitori avevano ritirato tutti i compagni spaventati dalla sua aggressività.
Qualche sabato fa su “La Stampa” Viola Ardone fa una chiacchierata con un ipotetico ‘bullo’ rimasto solo in classe perché i genitori hanno ritirato tutti i suoi compagni, spaventati dalla sua aggressività. Viola ha raccontato così bene la situazione che il quattordicenne ‘bullo’ l’ha voluta leggere più volte. Eravamo seduti sul divano del mio studio, io stralunato perché stavo seguendo lo stesso caso e lui quasi convinto che il messaggio fosse per lui. Siamo da un’ora sul divano, per la terza volta, con tanto di mascherina. Il primo quarto d’ora ho parlato io, da tre quarti d’ora sta parlando Viola. Aiuto insperato, tanto che Viola dentro di me è diventata “speranza”.
«Ciccio (!) come va? Come stiamo? Vuoi imparare a memoria il pezzo?». «Come sempre – risponde – sai tutto tu! Come fa mia madre ad avere così tanta fiducia di te, prete del …». «Senti, bello, a me piacciono le ultime cinque, sei righe. Cosa ne dici? Le ultime righe dell’articolo scrivono: “Quando sarete di nuovo tutti insieme, fa loro un bello scherzetto che proprio non immaginano… Sii gentile e fai il buono”». «Te pareva! A me invece colpiscono altre righe». «Quali? (Ciccio ha gli occhi lucidi ma non devo accorgermene)». «In questi due giorni solo tra i banchi vuoti, l’orologio ce l’avevo dentro… 9:00, 9:25, 9:58… Il tempo non passava mai, mai!». Rischio: «Hai deciso di tornare a scuola anche tu, se lunedì tornano anche loro?». «E daje! Che schifo… Tu mi prendi per il sedere (!), perché son tornato qua? …Ciao!».
Si alza sgangherandomi il divano, va alla porta. Questa scena me l’aspettavo perché già fatta altre volte (una delle tante battaglie che sono ormai abituato a perdere). La porta è a due passi del divano. È un po’ pesante anche perché le frequenti visite notturne ci hanno obbligato a ‘difenderci’. «Che schifo ‘sta porta!». E poi, con la faccia da sberle, mastica: «Senti, lunedì mattina passa mamma, se ti degni di montare in macchina con noi, andiamo a scuola insieme. Va bene!? Tu non capisci niente! A domani!» Sbatte la porta e sparisce.
Lunedì ore 7:30. Sento una macchina. Erano loro. Salgo. Silenzio di tomba. Scendo davanti alla scuola. Accompagno Ciccio in classe. C’erano tutti, sconvolti per l’arrivo. Due chiacchiere con il preside e ‘mi butto’: «Sono don Mazzi, ciao! Nella vita bisogna cambiare tante volte, lo sapete sì? Andare a scuola, andare a lavorare, sposarsi, fare figli, ammalarsi, fare le vacanze. Ogni volta sono cose belle e brutte da affrontare. Ciccio ha voluto incominciare a cambiare oggi. Ve ne accorgerete. Parola di don Antonio. Ciao!». Torniamo io e la madre. Pianti, solo pianti!
Passati due giorni, cioè mercoledì. Al cancello due ragazzi chiedono di parlare con don Mazzi. Bussano alla porta ‘da schifo’. «Avanti!». «Buongiorno». «Ciao!». «Sono il capoclasse di Ciccio. Non ci credevamo. Ciccio è un altro. Da due giorni siamo cambiati tutti, compresa la professoressa. Torna a trovarci». «Volentieri! Ciao!». Sono stato molto essenziale, però è accaduto così.
P.S. La ‘potenza’ del giornalismo serio.
di Don Antonio Mazzi
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