A parte gli appassionati di numismatica, nessuno ha riserve in rubli. Averli in conchiglie o cocci di vetro avrebbe lo stesso valore. Quando Putin chiede che siano pagati in rubli i conti per l’acquisto di materie prime russe fa un atto d’imperio che emula il tronfio imperialismo, in realtà svela e tradisce il tonfo economico.
Ammesso e non concesso che si sia tenuti a pagare con quella valuta, il solo risultato sarebbe sostenere il corso del rublo che, difatti, ieri s’è prima apprezzato sia sul dollaro che sull’euro – senza neanche sfiorare i livelli di prima dell’inizio dell’invasione – salvo poi ridiscendere e assestarsi su un livello intermedio. Ma, da questo punto di vista, cambia poco. Perché fino a ieri chi riceveva, in Russia, pagamenti in valuta straniera era tenuto a convertirli in rubli per l’80%, mentre ora gli viene tolto anche il restante 20%. Frega i suoi, mica noi.
Questo ammesso che lo si faccia, perché i contratti con Gazprom, ad esempio, sono stipulati in dollari o euro. Fin qui Gazprom ha menato vanto di non avere mai tradito un contratto. Ed è vero. Oggi sarebbe costretta a farlo, violandone una clausola fondamentale e facendo venire meno un suo punto di forza. Senza contare che, con l’inflazione che hanno, ci rimette pure. Sicché la cosa più probabile è che gli acquirenti rispondano con un no. In ogni caso il solo risultato di tale manovra sarebbe far sprofondare la Russia all’inferno, assieme al suo arrogante dittatore. Supponiamo che a Mosca qualcuno se ne renda conto.
di Sofia CifarelliLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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