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In Italia facciamo finta che il lavoro sia quello di prima

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Questo è un Paese che non forma adeguatamente i propri ragazzi. E sembra aver quasi completamente rinunciato all’idea della formazione di chi è già nel mondo del lavoro da un po’ di anni

In Italia facciamo finta che il lavoro sia quello di prima

Questo è un Paese che non forma adeguatamente i propri ragazzi. E sembra aver quasi completamente rinunciato all’idea della formazione di chi è già nel mondo del lavoro da un po’ di anni

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In Italia facciamo finta che il lavoro sia quello di prima

Questo è un Paese che non forma adeguatamente i propri ragazzi. E sembra aver quasi completamente rinunciato all’idea della formazione di chi è già nel mondo del lavoro da un po’ di anni

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Ieri sera ho partecipato a un evento sulla formazione e il futuro del lavoro, organizzato in provincia di Brescia dall’assessore regionale della Lombardia Simona Tironi, titolare delle deleghe proprio su questi cruciali temi.

Spesso ci riempiamo la bocca della necessità di portare scuola e università al passo con i tempi, di formazione continua e così via. Poi, facciamo troppo poco. Ecco perché ieri sera è stato importante vedere centinaia di imprenditori concretamente interessati a una formazione da sviluppare, tanto per cominciare, nelle loro aziende. Perché non si può sempre aspettare che qualcosa accada.

Questo è un Paese che non forma adeguatamente i propri ragazzi (quei pochi che ancora ci sono) e sembra aver quasi completamente rinunciato all’idea della formazione di chi è già nel mondo del lavoro da un po’ di anni. Una follia antistorica, che rischia di mettere fuori gioco intere fasce di lavoratori, a cui spesso la politica preferisce regalare facili illusioni. Se non direttamente soldi con il reddito di cittadinanza, i cui deleteri effetti abbiamo sempre sostenuto fossero innanzitutto di carattere psicologico, prima ancora che squisitamente economici.

Continuiamo a rinunciare coscientemente a dire la verità e cominciamo questa pericolosissima opera di rimozione in casa. Troppo spesso i genitori scelgono la via della consolazione. Parliamo in generale, nessuno si offenda, ma va di moda la carezza fine a se stessa. Chi parla la sera a cena della fatica da fare nella vita e in modo specifico nel lavoro per trovare soddisfazione e – perché no – avere successo? Quanti riportano ai figli, con onestà intellettuale, la propria esperienza quotidiana al lavoro?

Nessun adulto consapevole può far finta di non vedere la rivoluzione copernicana che ha investito il mondo delle aziende e delle professioni. Lo sfarinarsi dei punti di riferimento della generazione dei nostri genitori è un dato di fatto, così come l’avvento di una realtà profondamente competitiva in termini di qualità e impegno richiesti per farsi strada nel mondo del lavoro e in fin dei conti della vita. Può piacerci o meno, ma non possiamo scappare.

Magari il lavoro non ti piace e lo cambi, ma devi essere attrezzato. Preferiamo invece raccontare dei bei tempi andati, di una mitologica età dell’oro, fatta in realtà di una moltitudine di lavori piatti, routinari, ripetitivi. Diciamo loro che è tutta colpa dei politici, quando siamo noi ad aver chiesto qualsiasi tipo di sovvenzione e assistenza pur di non guardare in faccia la realtà.

Realtà è anche ciò di cui abbiamo parlato ieri sera e che in Italia funziona magnificamente, come gli Its. Ne scrivo da oltre 10 anni: avviano al lavoro la totalità dei ragazzi che vi si iscrivono dopo il diploma. Restano, però, troppo pochi rispetto al successo riscontrato.

Le verità da dire e almeno alcune delle soluzioni le conosciamo molto bene. Dov’è la volontà?

Di Fulvio Giuliani

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