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Strage Cutro

La burocrazia, l’angoscia e la tragedia

Un problema atavico italiano: l’incapacità di parlarsi fra diverse strutture e istituzioni. Il rimpallo di dispacci e lo scaricabarile
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La burocrazia, l’angoscia e la tragedia

Un problema atavico italiano: l’incapacità di parlarsi fra diverse strutture e istituzioni. Il rimpallo di dispacci e lo scaricabarile
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La burocrazia, l’angoscia e la tragedia

Un problema atavico italiano: l’incapacità di parlarsi fra diverse strutture e istituzioni. Il rimpallo di dispacci e lo scaricabarile
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Un problema atavico italiano: l’incapacità di parlarsi fra diverse strutture e istituzioni. Il rimpallo di dispacci e lo scaricabarile
Nella tragedia di Cutro c’è un riflesso di un’antica difficoltà italiana, un problema atavico che torna tragico protagonista in situazioni d’emergenza come quella verificatosi fra sabato e domenica davanti alle coste della Calabria. Contribuendo a provocare un disastro. Ci riferiamo alla incapacità di parlarsi fra diverse strutture, istituzioni, armi, in definitiva persone. A volte di capirsi fra colori diverse di uniformi. Come abbiamo scritto anche oggi su La Ragione, non spetta certo a noi dire se vi siano stati errori e di chi siano eventuali responsabilità, questo è il lavoro della magistratura. Che attendiamo con pazienza e nella speranza che non si segnali solo per il surreale tono dell’ordinanza di convalida del fermo dei presunti scafisti da parte del gip Michele Ciociola. Per la cronaca, vi si può leggere una perla come “Lungi dall’ergersi alla Cassandra di turno, chi scrive, gravato dagli orrori dell’ultima mareggiata pitagorica, si accinge a vergare l’ultimo fermo disposto in materia di immigrazione clandestina” e non è il passaggio peggiore. Quello che possiamo dire da giornalisti è che questa è storia vecchia: il rimpallo di dispacci, lo scaricabarile, il “noi l’abbiamo detto, voi non c’avete ascoltato” un super classico del nostro passato più tragico. Ha radici antichissime e provocò lutti e disastri in condizioni radicalmente diverse da quelle attuali: stesso teatro, il Mediterraneo – durante la Seconda Guerra Mondiale – l’assoluta incapacità di coordinarsi e dialogare fra Marina e Aeronautica ci costò innumerevoli morti, sconfitte e sospetti. Leggere oggi il burocratese di quello scambio di messaggi fra Guardia di Finanza e Guardia Costiera nella notte fra sabato e domenica fa male, perché mentre ci si accapiglia sul termine “distress” usato dall’aereo di Frontex nel segnalare ore prima il barcone ancora in grado di navigare, nel litigare se sia stato un errore lanciare un’operazione di polizia (con intervento, dunque, della Guardia di Finanza) invece di una Sar (ricerca e soccorso, con l’impiego della motovedetta della Guardia Costiera) si compiva la tragedia. Morivano a decine a pochi metri dalle nostre coste, una beffa atroce e devastante. Un atto d’accusa implicito alla farraginosità delle regole, della catena di comando, dei rapporti fra diverse strutture e armi. Problemi che in Italia hanno sempre avuto un peso, senza che siano necessari alcun dolo o indifferenza. A volte è più che sufficiente il poco dialogo, il curare il proprio orticello, attenersi a regolamenti che davanti a situazioni d’emergenza diventano una camicia di forza fatale. Su tutto, il pararsi il sedere e l’insopportabile scaricabarile. Di Fulvio Giuliani

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