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La crisi delle città è crisi del Paese

Secondo il principale quotidiano economico finanziario a trionfare è Bergamo. Ma il tema delle grandi città comincia a pesare

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La crisi delle città è crisi del Paese

Secondo il principale quotidiano economico finanziario a trionfare è Bergamo. Ma il tema delle grandi città comincia a pesare

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Secondo il principale quotidiano economico finanziario a trionfare è Bergamo. Ma il tema delle grandi città comincia a pesare

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Secondo il principale quotidiano economico finanziario a trionfare è Bergamo. Ma il tema delle grandi città comincia a pesare

Le classifiche sulla ‘qualità della vita’ sono stilate in base a diversi parametri, variabili come le graduatorie stesse. Considerazione lapalissiana ma che aiuta a ricordare perché fra quelle più note, pubblicate da “Il Sole 24 Ore” e “Italia Oggi”, si registrino differenze apparentemente sostanziali.

Nella seconda svetta Milano, che per “Il Sole” è ‘appena’ dodicesima in Italia. Secondo il principale quotidiano economico finanziario, a trionfare è invece Bergamo. Differenze a parte, una costante si ripete di anno in anno: la provincia stravince sulle aree metropolitane. Il vantaggio delle città medio-piccole è a tratti abissale sulle metropoli italiane, che poi ‘metropoli’ in senso stretto non sono neppure un po’ se pensiamo alle aree urbane delle città più importanti d’Europa. Nessuna meraviglia ma qualche domanda dobbiamo porcela.

Che si viva benissimo nelle città di medie o piccole dimensioni del Centro e del Nord e in non poche del Sud (regolarmente uscito con le ossa rotte da queste classifiche senza apparenti novità di anno in anno, anzi) è un dato di fatto. Piacevole e incontrovertibile. Chi scrive conosce bene Bergamo, la città che ha svettato nella classifica del “Sole 24 Ore”: un gioiello di qualità della vita, operosità e tessuto imprenditoriale, cui negli ultimi anni si è aggiunto uno strameritato boom turistico per le bellezze custodite in quello scrigno che è Città alta. Metteteci anche l’Atalanta…

Eppure, il tema delle grandi città comincia a farsi pesante: nel mondo di oggi – profondamente competitivo e determinato nel suo sviluppo dalla capacità di investimento, unita a quella di fungere da vero e proprio polo di attrazione per i migliori cervelli dei cinque Continenti – non avere un modello esportabile di grande città può rivelarsi un handicap grave. C’è Milano, certo, da sempre unica città italiana realmente proiettata per istinto in una dimensione internazionale. Premesso che è ormai sport diffuso descriverla come la madre di ogni male – in spregio alla più banale evidenza e a tutti i parametri e le cifre di cui sopra – non andremo molto lontano potendo contare su un numero troppo limitato di università, poli di ricerca, distretti in cui stare al passo con una realtà in cui risorse e dimensioni contano sempre più.

Abbiamo bisogno delle città e della loro vocazione storica a farsi motori delle innovazioni, dei cambiamenti, dei balzi in avanti. Luoghi in cui ovviamente non si fa più tutto (le città industriali sono tramontate definitivamente nell’era digitale e nessuno le rimpiange) ma restano le realtà dove ci si mescola di più, si hanno (o si dovrebbero avere) i maggiori stimoli, raccogliendo il meglio che arriva dall’interno dei singoli Paesi e dall’estero.

Ecco perché il calo – che a volte assomiglia a un tracollo – delle nostre città più grandi negli ultimi vent’anni è un tema da maneggiare con estrema attenzione e una certa preoccupazione.

Di Fulvio Giuliani

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