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La Crusca, accademia di buonsenso

Una volta per tutte, la Crusca mette al bando schwa e asterischi. E spiega perché con la lingua non si scherza

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La Crusca, accademia di buonsenso

Una volta per tutte, la Crusca mette al bando schwa e asterischi. E spiega perché con la lingua non si scherza

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Una volta per tutte, la Crusca mette al bando schwa e asterischi. E spiega perché con la lingua non si scherza

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Una volta per tutte, la Crusca mette al bando schwa e asterischi. E spiega perché con la lingua non si scherza

Finalmente l’annoso enigma arriva alla cassazione – nel senso più letterale del termine – perché è stata la Corte suprema a chiedere delucidazioni. E l’Accademia della Crusca ha risposto. Forte e chiaro: schwa, asterischi e derivati non fanno parte della lingua italiana. I fanatici dell’inclusività di facciata se ne facciano una ragione o d’ora in avanti saranno dei semplici sgrammaticati. Non è la prima volta che la storica istituzione viene interpellata in merito ma oggi il parere informale dei linguisti si innalza a precetto definitivo, tracciando la via per una scrittura corretta e rispettosa della parità di genere all’interno degli atti giudiziari.

Fugato ogni dubbio, spiegati tutti i casi limite. Il responso dell’Accademia è un piccolo capolavoro di buonsenso: oltre a «escludere tassativamente i segni grafici che non hanno corrispondenza nel parlato», vengono esaminati i migliori strumenti a disposizione dell’italiano «per rappresentare tutti gli orientamenti». E cioè non «la reduplicazione retorica» da comizio (compagne e compagni, lavoratrici e lavoratori), altrettanto rifiutata, ma «l’utilizzo di forme neutre o generiche oppure del maschile plurale non marcato (tutti pronti?)». L’enfasi è soprattutto su quest’ultima opzione, che è «un modo di includere e non di prevaricare». Secondo lo stesso principio, via libera invece «ai nomi di professioni – e questi soltanto: mica l’intero vocabolario come fece acriticamente Treccani – declinati al femminile»: esistono, sono di crescente uso comune e pertanto vanno tutelati anche nella forma.

Segue qualche sana bordata all’ideologia woke. Se si volesse interpretare il maschile «in maniera assurdamente rigida», fa notare la Crusca, «occorrerebbe riscrivere milioni di pagine, a cominciare dalla Costituzione della Repubblica». E per giunta «una simile concezione della lingua non va sopravvalutata, perché è in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali». Volatili per definizione, tanto più nella frenetica èra digitale (vi ricordate l’inflazione di K e la carestia di vocali negli sms dei primi anni Duemila?). La lingua è invece un processo evolutivo costante e un delicato patrimonio di valori condivisi. Quindi non adatto, specie in ambito giuridico, «a sperimentazioni innovative minoritarie».

In quanto a queste – pure vittime! –, è da augurarsi che riacquistino presto la dignità perduta. Si dice che l’asterisco sia invenzione del filologo ellenistico Aristarco, già con l’accezione di nota a piè di pagina (per aggiungere, dunque, non togliere porzioni di testo). Mentre lo schwa, prima della sua applicazione nell’alfabeto fonetico, è un termine di origine ebraica: vuol dire “insignificante”. Contenti voi che lo usate.

di Francesco Gottardi

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