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La fame di Putin

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Lo sapevamo da anni che sarebbe finita così, ma abbiamo continuato a guardare la Russia con gli occhi speranzosi e ingenui degli occidentali. Quello che Putin vuole fare non è conquistare l’Ucraina, ma riscrivere le regole e la struttura dell’ordine europeo e mondiale. Spetta a noi decidere se lasciarglielo fare o impedirglielo.

La fame di Putin

Lo sapevamo da anni che sarebbe finita così, ma abbiamo continuato a guardare la Russia con gli occhi speranzosi e ingenui degli occidentali. Quello che Putin vuole fare non è conquistare l’Ucraina, ma riscrivere le regole e la struttura dell’ordine europeo e mondiale. Spetta a noi decidere se lasciarglielo fare o impedirglielo.
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La fame di Putin

Lo sapevamo da anni che sarebbe finita così, ma abbiamo continuato a guardare la Russia con gli occhi speranzosi e ingenui degli occidentali. Quello che Putin vuole fare non è conquistare l’Ucraina, ma riscrivere le regole e la struttura dell’ordine europeo e mondiale. Spetta a noi decidere se lasciarglielo fare o impedirglielo.
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Lo zar è morto, lunga vita allo zar. L’Urss è finita, lunga vita all’Urss. La dottrina Breznev, a oltre 40 anni dalla Primavera di Praga, si riaffaccia rediviva sulla cartina e nelle Cancellerie europee e a Washington. Mosca ha invaso l’Ucraina e ha deciso di utilizzare lo strumento militare per impedire l’ingresso di Kiev nella Nato, per bloccare il processo di allargamento dell’Alleanza a Est e, più di tutto, per sancire che i Paesi dello spazio ex-sovietico hanno sovranità limitata e che Stati Uniti e Unione europea non devono osare intromettersi nelle vicende dello spazio vitale russo. Lo sapevamo da anni, dal 2008 georgiano, che sarebbe finita così, ma abbiamo continuato a guardare la Russia con gli occhi speranzosi e ingenui degli occidentali, rifiutandoci di capirne l’essenza, le ragioni, la volontà di giocarsi il tutto per tutto. I russi non ragionano come noi. Adesso al Cremlino si pensa e si agisce con una mentalità da stato di guerra, mentre a Berlino, Parigi e Roma ancora si spera nella diplomazia e nella pace. Putin – che ormai si crede l’uomo del destino e ambisce a scolpire il proprio nome accanto a quelli di Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Alessandro II e Stalin – non si fermerà davanti a niente: oggi tocca a Kiev, domani chissà, forse Tbilisi, forse Minsk, forse le pianure del Kazakistan. La nostra sicurezza e le nostre certezze vacillano, travolte dal senso di colpa di non aver fatto abbastanza, affogate nelle lacrime di coccodrillo delle vedove di Kiev, vittima sacrificale annunciata dell’orso russo, diluite nell’ipocrita speranza che le dichiarazioni di sdegno e le sanzioni spaventassero i cosacchi del Don. Il futuro è oscuro, perché la fame di Putin è atavica, ricorda quella dei Titani della mitologia greca. Una fame che spinge a divorare tutto, anche i propri figli, i giovani russi sul fronte. Dopo Kiev, l’ombra nera del Cremlino si allunga sui Baltici, nutrita dalle nostre paure e dal dubbio se, ancora una volta, valga la pena morire per Riga, Vilnius e Tallinn. Non è un dubbio a costo zero e non è un esercizio accademico. Il rischio è concreto e ne andrebbe della credibilità di Stati Uniti, Europa e Nato nel loro insieme. Quello che Putin vuole fare non è conquistare l’Ucraina, ma riscrivere le regole e la struttura dell’ordine europeo e mondiale. Spetta a noi occidentali decidere cosa fare, se lasciarglielo fare o impedirglielo. La democrazia e la libertà hanno un prezzo: siamo disposti a pagarlo? Purtroppo temo di no.   di Andrea Margelletti

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