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La follia antiscientifica di Trump

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Per Trump la scienza si è piegata alla ‘dittatura woke’ fabbricando prove scientifiche senza fondamento e va dunque ripulita: cancellare le parole per cancellare l’identità

La follia antiscientifica di Trump

Per Trump la scienza si è piegata alla ‘dittatura woke’ fabbricando prove scientifiche senza fondamento e va dunque ripulita: cancellare le parole per cancellare l’identità

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La follia antiscientifica di Trump

Per Trump la scienza si è piegata alla ‘dittatura woke’ fabbricando prove scientifiche senza fondamento e va dunque ripulita: cancellare le parole per cancellare l’identità

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Scriveva Heidegger: «È la parola che procura l’essere alla cosa». E aveva ragione. Certo, una mela non cessa di esistere se non le diamo un nome, ma il nostro livello di conoscenza dell’oggetto è direttamente proporzionale alla quantità di nomi che possiamo utilizzare per descriverlo. C’è insomma chi sarà in grado di dire se la mela è una renetta o una delicious, chi si limiterà a chiamarla mela e chi la mangerà e basta, senza nemmeno sapere cosa sia. Nel linguaggio scientifico utilizzare le parole giuste e più specifiche possibile è fondamentale, perché è proprio dalla scienza che le parole ottengono validazione. Chi scrive articoli scientifici sceglie con cura i termini da utilizzare, perché sa che una parola sbagliata potrebbe compromettere la validità del suo esperimento o della sua review.

Giorni fa, fonti interne alla National Science Foundation (Nsf) hanno reso nota una lista che Donald Trump ha posto all’attenzione dell’organismo che si occupa della revisione degli articoli scientifici. Al suo interno ci sono parole che non sono vietate in sé, ma che possono facilmente diventarlo se riferite a genere, discriminazione, oppressione. Sono, tra le altre: trauma, antirazzista, intersezionale, disabilità, rilevanza culturale, barriera, esclusione, equità, minoranza, diseguaglianze, genere, donna. Ogni articolo che contiene una parola presente in questa lunghissima lista deve essere revisionato: se il termine incriminato è inserito in un contesto che non va contro la politica del governo, l’articolo può essere validato ma solo con una nota che espliciti le ragioni della scelta. Altrimenti va modificato o cestinato. E questo vale sia per gli articoli in via di approvazione che per quelli già approvati. Sappiamo quanto la ricerca dipenda dai fondi governativi e quanto il lavoro degli scienziati sia legato a quei fondi. E infatti molti ricercatori hanno di recente dichiarato che si auto-censureranno per assicurarsi di poter accedere al denaro necessario.

Il punto di vista di Trump è chiaro: la scienza si è piegata alla ‘dittatura woke’ fabbricando prove scientifiche senza fondamento e va dunque ripulita. Il problema è che togliere parole che definiscono un’identità non cancella quell’identità in quanto tale – la mela è sempre mela – ma fa sì che non sia più oggetto di studio, con tutte le conseguenze del caso. Non si tratta dunque solo di cancellare le persone trans dalle politiche sanitarie, ma anche di ridefinire il concetto di disabilità o quello di razzismo in base a una visione politica, non certo scientifica. Prendiamo lo Implicit Association Test (Iat) – formulato dall’Università di Harvard per valutare i pregiudizi inconsapevoli verso persone di colore o grasse oppure disabili – che si basa su un ‘bias implicito’, un’altra delle parole nella lista nera di Trump: decidere all’improvviso che non abbia più valore scientifico – o che debba essere riformulato sulla base delle credenze personali di un uomo bianco che ha deportato persone di colore con le catene ai polsi – ha dell’incredibile.

Sono moltissime le istituzioni che si stanno ribellando a questa assurda decisione, ma lo spettro del taglio dei fondi potrebbe essere più forte di qualsiasi presa di posizione. E resta sempre da chiedersi cosa ci faccia la parola “donna” in quella lista. E come mai invece manchi il termine “uomo”.

Di Maruska Albertazzi

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