La follia del darsi ragione da sé lasciandosi eccitare dai like
I mondi che creiamo sui social sono farciti di gente che ci dà ragione. Quando riceviamo un like abbiamo una carica di autostima, ma un parere contrario viene letto come pensiero di un odiatore.
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La follia del darsi ragione da sé lasciandosi eccitare dai like
I mondi che creiamo sui social sono farciti di gente che ci dà ragione. Quando riceviamo un like abbiamo una carica di autostima, ma un parere contrario viene letto come pensiero di un odiatore.
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I mondi che creiamo sui social sono farciti di gente che ci dà ragione. Quando riceviamo un like abbiamo una carica di autostima, ma un parere contrario viene letto come pensiero di un odiatore.
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I mondi che creiamo sui social sono farciti di gente che ci dà ragione. Quando riceviamo un like abbiamo una carica di autostima, ma un parere contrario viene letto come pensiero di un odiatore.
Se l’homo erectus non avesse padroneggiato il fuoco, oggi non potremmo nemmeno gustarci una ribollita. Quindi teniamoci ben strette (tutte, ma proprio tutte) le conquiste della tecnologia, permettendoci magari di dare ogni tanto una sbirciatina agli scenari che il progresso va delineando. Guardiamo ad esempio quanti aiuti quotidiani troviamo negli smartphone: le mappe che ti guidano all’indirizzo desiderato, i click con cui prenoti un tavolo al ristorante, la stanza d’albergo o “l’indimenticabile esperienza” delle terme.
I traduttori, con un po’ di intuito, ci aiutano a superare barriere linguistiche, un’app ti dice il titolo della canzone che echeggia nella stanza e in un tutorial video scopri come aggiustare la radio.
Un mondo decisamente più abbordabile, in cui però l’interazione con gli altri diventa via via più superflua: con l’anziano di paese che ti dava le indicazioni in loop per il mero piacere di essere ascoltato, con l’agente di viaggi che districava per noi le offerte, lo straniero con cui intendersi a gesti, l’amico costretto a decodificare un impossibile motivetto o spiegarti dove mettere il fusibile.
C’è il rischio che, imboccata la strada dell’autosufficienza, non sia facile riconoscere il prossimo e le sue ragioni. Il messaggio audio, confidato al telefonino o ascoltato in solitaria (a velocità doppia, se aiuta), sostituisce la vecchia telefonata, con le sue pause e l’ebrezza del contraddittorio: e se ora provate a dire a un adolescente di alzare la cornetta vedrete affiorare il panico.
Più in generale sono le esperienze negative che perdono cittadinanza, specie per i più piccoli: nella gran parte del mondo dei videogiochi la sconfitta, la morte o la perdita sono dolori che si anestetizzano in fretta con un “gioca ancora”. I mondi che creiamo sui social sono farciti di gente che ci dà ragione: un like in arrivo dall’altra parte del mondo è una carica inebriante di autostima e la conferma che usiamo parole giuste e abbiamo idee giuste; ma un parere contrario o una emoticon antipatica viene letta – nove su dieci – come l’espressione di un odiatore, da eliminare dal proprio panorama.
E si finisce che YouTube, bombardato da utenti apparentemente intenzionati a punire gli autori più gettonati, non rende più visibile il numero di “pollici in giù” sotto i video. A meno che non si sia un utente premium: strano destino, pagare per sapere quanto non piaci.
di Raffaele Bertini
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Tag: social media
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