La grande nevicata del 1985
Nelle settimane scorse moltissime persone hanno condiviso sui social network fotografie della nevicata di quarant’anni fa, nel 1985
La grande nevicata del 1985
Nelle settimane scorse moltissime persone hanno condiviso sui social network fotografie della nevicata di quarant’anni fa, nel 1985
La grande nevicata del 1985
Nelle settimane scorse moltissime persone hanno condiviso sui social network fotografie della nevicata di quarant’anni fa, nel 1985
Nelle settimane scorse moltissime persone hanno condiviso sui social network fotografie della nevicata di quarant’anni fa, nel 1985
Nelle settimane scorse moltissime persone hanno condiviso sui social network una quantità incalcolabile di fotografie e rievocazioni della grande e sorprendente nevicata che quarant’anni fa, nel gennaio del 1985, ricoprì – stravolgendone ritmi e consuetudini – buona parte dell’Italia. Del resto, numerose opere letterarie e artistiche richiamano quell’evento meteorologico straordinario. Insieme a numerose altre, si possono menzionare “La casa del mago” di Emanuele Trevi (Ponte alle Grazie, 2003), il libro di poesia “La grande nevicata” di Federico Italiano (Donzelli, 2023) e il disco dei Bluvertigo “Zero – ovvero la famosa nevicata dell’85” (Mescal, 1999).
Nel saggio “La nevicata del secolo. L’Italia nel 1985” (il Mulino) Arnaldo Greco e Pasquale Palmieri si sono chiesti perché quella precipitazione nevosa – a differenza, per esempio, della nevicata del 1956 e di altre vicende accadute nell’atmosfera e nella cronaca dei decenni passati – si sia conquistata tanto spazio nella nostra memoria privata e collettiva. Si potrebbe ipotizzare, probabilmente in modo superficiale, che quel gennaio del 1985 sia nei ricordi con nostalgia di molte persone che oggi hanno più o meno tra i 50 e i 60 anni perché allora attraversavano gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza e perché in quell’epoca l’Italia viveva una sorta di secondo boom economico, a cui sarebbero seguiti presto tempi più incerti.
Una riflessione più profonda e senza dubbio affascinante evidenzia invece che a partire da quel periodo, grazie all’avvento di una sorta di fabbrica della memoria, l’immaginario collettivo iniziò a trasformarsi e le vicende quotidiane vissute dai singoli cittadini ottennero un posto nel racconto della storia e della società che in precedenza non avevano.
Un fatto, forse più di altri, aiuta a comprendere la metamorfosi estetica e culturale che si stava realizzando: nel suo programma “Blitz” del 1981, in onda su Rai 2, il giornalista Gianni Minà menzionava quasi ossessivamente «i mitici anni Sessanta». Ancora, lo spot dell’amaro Ramazzotti, lanciato nel 1985, celebrava la “Milano da bere” associando al capoluogo lombardo la narrazione di una vita dinamica e gaudente.
E nel 1984 uscì “Viaggio in Italia”, il libro fotografico curato da Luigi Ghirri, con i contributi molti importanti fotografi come Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Giovanni Chiaromonte, Mimmo Jodice e lo stesso Ghirri, nel quale si mostra l’Italia delle periferie, dei luoghi apparentemente anonimi e lontani dai monumenti di valore storico e artistico, sottolineando la rilevanza anche di quella porzione del paesaggio, fino a quel momento trascurata e considerata priva di interesse.
Questo fenomeno fu sempre più intenso e diffuso già negli ultimi anni del secolo scorso per via dell’affermazione di Internet e dei primi blog, per poi diventare oltremodo pervasivo e virale nel contesto mediatico in cui ci troviamo, dove anche gli eventi più piccoli e trascurabili vengono resi noti sui social network.
di Luca Vaglio
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