Tutti in processione da Zelensky. Ieri a recarsi a Kiev è stata la volta dei presidenti di Polonia (Andrzej Duda), Estonia (Alar Karis), Lituania (Gitanas Nausėda) e Lettonia (Egils Levits). Ben vengano i gesti di solidarietà e di vicinanza all’Ucraina ma soprattutto gli aiuti concreti, compresi quelli militari. Trasformare in una religione laica e quotidiana la passeggiata a Kiev non deve diventare però per i capi di Stato e di governo europei una strada facile per inseguire il consenso nei loro Paesi o magari per togliersi qualche sassolino dalle scarpe rispetto alle politiche passate di altre nazioni europee. Chi scrive non ha mai avuto dubbi, nessuno, nello schierarsi dalla parte degli ucraini invasi contro gli aggressori russi ma c’è una priorità che oggi l’Unione europea e i suoi Paesi membri non devono perdere di vista: la sinergia nello stare dalla parte di Kiev, senza aprire una gara fra guelfi e ghibellini dove la differenza si misurerebbe nell’intensità delle passeggiate in Ucraina.
Cribbio, c’è una tragica guerra in corso innescata dall’aggressione russa e l’Ue sino a ora ha risposto con coraggio e fermezza alla voglia di onnipotenza di Putin. In queste ore, in cui si manifesta l’amarezza tedesca per il no di Zelensky alla visita a Kiev del presidente della Germania Steinmeier, ciò che conta davvero non sono le visite in Ucraina bensì le ragioni e gli atti concreti – che l’Unione europea ha messo in atto – in difesa delle libertà di uno Stato aggredito. Continuare così sarebbe cosa buona e giusta.
di Jean ValjeanLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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