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Jordan Jeffrey Baby morte

La morte del trapper Jordan Jeffrey Baby, una sconfitta per tutti

Giustizia. La chiedono il papà e l’avvocato del trapper Jordan Jeffrey Baby dopo la sua morte. Esigono sia fatta chiarezza su una vicenda contraddistinta da troppi lati oscuri

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La morte del trapper Jordan Jeffrey Baby, una sconfitta per tutti

Giustizia. La chiedono il papà e l’avvocato del trapper Jordan Jeffrey Baby dopo la sua morte. Esigono sia fatta chiarezza su una vicenda contraddistinta da troppi lati oscuri

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La morte del trapper Jordan Jeffrey Baby, una sconfitta per tutti

Giustizia. La chiedono il papà e l’avvocato del trapper Jordan Jeffrey Baby dopo la sua morte. Esigono sia fatta chiarezza su una vicenda contraddistinta da troppi lati oscuri

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Giustizia. La chiedono il papà e l’avvocato del trapper Jordan Jeffrey Baby dopo la sua morte. Esigono sia fatta chiarezza su una vicenda contraddistinta da troppi lati oscuri

Giustizia. La chiedono il papà e l’avvocato del trapper Jordan Jeffrey Baby, che esigono sia fatta chiarezza su una vicenda ancora oggi contraddistinta da tanti, troppi lati oscuri. Jordan Tinti – questo il vero nome del 26enne ritrovato senza vita nel carcere di Pavia, nella notte tra l’11 e il 12 marzo scorsi – aveva già denunciato in passato di aver subìto abusi e maltrattamenti durante la detenzione in quel penitenziario. In precedenza aveva ottenuto un affidamento terapeutico in una comunità, ma il Tribunale di Sorveglianza aveva disposto il ritorno in carcere perché nella stanza del ragazzo erano stati trovati un cellulare e delle sigarette (vietati dal regolamento). Così, in quello stesso istituto dove già aveva vissuto l’incubo dei maltrattamenti, Jordan Jeffrey Baby ha terminato la sua breve e travagliata esistenza.

La Procura di Pavia ha deciso di disporre l’autopsia e di aprire un fascicolo per omicidio colposo, un atto dovuto in questi casi per permettere gli accertamenti. Restano aperte tutte le piste, anche se quella relativa al gesto estremo sembra al momento l’ipotesi più accreditata. Resta però un interrogativo che in questa vicenda non trova risposta: perché Tinti stato fatto tornare proprio là dove aveva denunciato di aver subìto abusi e maltrattamenti? Il trapper si trovava nella sezioneprotetti’ e già in passato aveva tentato di togliersi la vita. Era stato condannato con rito abbreviato a 4 anni e 4 mesi di reclusione per una rapina (avvenuta il 10 agosto 2022) con l’aggravante dell’odio razziale ai danni di un operaio di 42 anni originario della Nigeria. Insieme a Tinti, durante l’aggressione nella stazione di Carnate (Monza e Brianza), c’era il trapper romano Traffik (nome d’arte di Gianmarco Fagà), condannato a 5 anni e 4 mesi.

Più volte su queste pagine abbiamo scritto delle condizioni intollerabili in cui versano le carceri italiane. Nella triste vicenda di Jordan Tinti vale la pena di soffermarsi su un ulteriore aspetto, non meno importante: i giovani e l’illusione della popolarità sui social. Dopo un’infanzia difficile (madre da sempre assente e padre con una grave invalidità), diversi problemi dovuti all’assunzione di stupefacenti e psicofarmaci e la depressione con cui convivere, Tinti stava cercando di farsi strada nel mondo della musica trap. Era diventato celebre sui social, ma a renderlo famoso non erano state tanto le sue canzoni quanto le vicende di cronaca in cui finiva coinvolto. E dopo ogni sciocchezza che commetteva, la sua popolarità cresceva: più combinava guai, più le persone lo seguivano. In un circuito vizioso che si autoalimentava e la cui fine sembrava già scritta. Non è un caso che proprio l’aggressione ai danni dell’operaio nigeriano che lo avrebbe portato in carcere fosse stata filmata e pubblicata online. Su quegli stessi social che, dopo averne costruito una fama effimera, a tragedia avvenuta hanno ospitato commenti ignobili come questi: «Uno in meno», «Che bella notizia» o «Finalmente giustizia è stata fatta». 

Un 26enne che conclude la sua esistenza in quel modo è un fallimento per tutti. Jordan Tinti aveva bisogno di aiuto, non di follower.

di Filippo Messina

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