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La morte può stancare

Il massacro di Bucha potrebbe non cambiare il corso della guerra in Ucraina, ma l’Occidente non deve abituarsi a convivere con l’orrore della guerra.
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La morte può stancare

Il massacro di Bucha potrebbe non cambiare il corso della guerra in Ucraina, ma l’Occidente non deve abituarsi a convivere con l’orrore della guerra.
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La morte può stancare

Il massacro di Bucha potrebbe non cambiare il corso della guerra in Ucraina, ma l’Occidente non deve abituarsi a convivere con l’orrore della guerra.
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Il massacro di Bucha potrebbe non cambiare il corso della guerra in Ucraina, ma l’Occidente non deve abituarsi a convivere con l’orrore della guerra.
Di fronte a tragedie come quella di Bucha, cittadina a Nord di Kiev devastata dalla violenza e dalla brutalità dell’esercito russo, risulta davvero difficile provare a scrivere qualsiasi parola. Il disgusto, lo smarrimento, la rabbia e la compassione sono sentimenti che si accavallano nella testa, che rendono difficile il ragionamento e che offuscano il pensiero. Però il dovere di un analista è quello di mantenere la mente fredda e lucida anche nei momenti più bui e non lasciarsi trascinare dall’emotività, benché la tentazione sia molto forte. Quello che è successo a Bucha non è stato un errore di un singolo comandante che ha perso il controllo o di un gruppo di soldati sadici. Ci piacerebbe pensarlo per trovare una giustificazione a quanto avvenuto e per rifiutare di accettare l’idea che la guerra sia la vera abdicazione della pietà. Un meccanismo di difesa utopisticamente legittimo per chi, come la maggior parte degli europei, non vive una guerra sulla propria pelle dall’8 maggio 1945. Tuttavia, basterebbe chiedere a un bosniaco o a un kosovaro per ottenere una risposta diversa. Loro portano ancora addosso i segni di quello che non è sadismo ma strategia di guerra. La realtà è un’altra. Il massacro di Bucha è stato soltanto l’ultimo atto di una conduzione feroce della guerra da parte della Russia che, sin dal primo minuto dell’invasione non ha risparmiato obbiettivi civili, popolazione inerme, ospedali e scuole. Le scene di Bucha le abbiamo già viste a Mariupol e, chissà, rischiamo di vederle in altre città liberate dall’occupante moscovita. Quella in Ucraina non è una operazione militare speciale ma una spedizione punitiva in stile mafioso. Il vero problema è che l’opinione pubblica occidentale rischia di abituarsi a quelle scene, di sviluppare un meccanismo mentale di convivenza con l’orrore della guerra paragonabile a quello di convivenza con l’incertezza della pandemia. Un copione già visto: prima lo sdegno, poi il lutto, infine il ricordo sempre più sbiadito. Parallelamente, le classi dirigenti europee e la Nato si trovano nella tremenda situazione di non voler intervenire militarmente per impedire lo scoppio della Terza guerra mondiale e di non poter inasprire le sanzioni su gas e petrolio per evitare uno shock economico e politico dagli esiti imprevedibili. Le alternative sono poche e passano tutte attraverso la volontà dei popoli europei di fare sacrifici in nome della solidarietà agli ucraini. Una volontà tutt’altro che certa e manifesta. Per tutte le ragioni elencate, la possibilità che il massacro di Bucha non modifichi le strategie politiche occidentali e, con esse, il corso della guerra è concreto. Dopotutto, anche nella Seconda guerra mondiale l’intervento contro la Germania nazista avvenne dopo mesi di appeasement, dopo la violazione del Trattato di Versailles, dopo l’Anschluss e dopo l’annessione dei Sudeti. Ci volle l’invasione della Polonia per mobilitare il mondo libero. Anche l’opinione pubblica statunitense, perfino dopo Pearl Harbour, era contraria alla guerra in Europa e voleva limitarsi alla regione del Pacifico. Se il massacro di Bucha e quelli che verranno lasceranno l’Europa e gli Usa fermi nelle loro posizioni attuali e non dovessero influenzare il corso del conflitto, che almeno la loro memoria permetta di costruire una pace più giusta, equa e duratura. di Marco Di Liddo, Analista CeSI

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