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La protesi di quattro quinti dell’umanità

I numeri parlano di una dipendenza fortissima dai nostri cellulari: lo smartphone è diventato una vera e propria droga. Con conseguenze gravissime. 

La protesi di quattro quinti dell’umanità

I numeri parlano di una dipendenza fortissima dai nostri cellulari: lo smartphone è diventato una vera e propria droga. Con conseguenze gravissime. 

La protesi di quattro quinti dell’umanità

I numeri parlano di una dipendenza fortissima dai nostri cellulari: lo smartphone è diventato una vera e propria droga. Con conseguenze gravissime. 
I numeri parlano di una dipendenza fortissima dai nostri cellulari: lo smartphone è diventato una vera e propria droga. Con conseguenze gravissime. 
  Difficoltà nel completare le proprie attività al lavoro o a casa e un progressivo isolamento da famiglia e amici. Il tutto accompagnato da una forte ansia, da totale insicurezza o addirittura dal panico se lo si dimentica a casa. Stiamo parlando del timore assoluto di stare lontani, anche solo per pochi attimi, dal proprio cellulare, della fobia di non avere con sé lo smartphone (soffrire cioè di nomofobia: “NO Mobile Phone PhoBIA”). Un sondaggio rivela che il 99,2% degli utenti mostra un qualche livello di paura e ansia se il telefono viene lasciato accidentalmente altrove. Il panico colpisce perfino chi non si accorge di averlo in tasca o addirittura in mano. Navigazione sul web, motore di ricerca, traduttore automatico, meteo, assistente digitale («Chiami mio marito per favore?»), tutor per fitness, videogiochi da 120 secondi, check-in per l’imbarco, Green Pass, pagamento dal parrucchiere, conferenza con Zoom, cronometro, sveglia, ultime notizie, diretta su YouTube, social network, email, porno soft e hard. Una lista infinita di servizi. Il tutto in un aggeggio grande come mezza tavoletta di cioccolata. In attesa che scompaia a favore di una t-shirt connessa e computazionale, lo smartphone è la protesi definitiva di 6,4 miliardi di umani (al sesto posto al mondo gli italiani). Nel suo libro “Metti via quel cellulare”, rivolto ai suoi figli che gli rispondono per le rime («La responsabilità di quel che siamo è vostra; non del telefonino, che semmai è il vostro alibi»), Aldo Cazzullo cita la battuta di Altan: «È record, ogni cellulare possiede un italiano». In media si clicca, preme e tocca uno smartphone 2.617 volte al giorno per 4 ore e 10 minuti (5h 54m il record dei filippini) e non si fa caso al fatto che sia 7 volte più sporco delle toilette. Tre quarti degli utenti controllano messaggi e notifiche nell’attimo in cui si svegliano o se lo portano direttamente a letto e oltre la metà di chi lavora risponde alle chiamate mentre guida. Dunque, chi più chi meno, una dipendenza da drogato col proprio smartphone. Le conseguenze sono crescente solitudine e depressione, deficit di attenzione, diminuzione della capacità di concentrarsi e pensare profondamente o in modo creativo, disturbi del sonno. Se poi si tenta di ridurre l’uso simbiotico dello smartphone, arrivano i classici sintomi da astinenza come irrequietezza, rabbia o irritabilità. Per uscirne? Frequentare un tranquillo gruppo di smartphonisti anonimi e ricordare che la maggior parte delle dipendenze è associata al neurotrasmettitore dopamina, avido di rinforzi come notifiche, suoni e banner. Dunque una prima soluzione è disattivarli e imporsi di depositare il cellulare altrove, in un locale lontano, il più a lungo possibile. Lasciarlo a casa se si va al supermercato, a camminare, alla partita, al cinema o in pizzeria. Abituarsi a farne a meno sostituendolo con qualcosa di molto piacevole. Ma forse, salvo un po’ di feticismo per l’oggetto e una modica quantità di narcisismo da selfie, la vera droga non è tanto il mezzo ma i fini: le dipendenze tossiche da social network, la pubblicazione di tutti i pensieri e dettagli della propria esistenza, le app di appuntamenti, gli amici virtuali più importanti di quelli reali, video su video, controllo perenne delle news, lo shopping compulsivo online, le aste su eBay: col lento scivolare fuori dalla realtà. A quel punto le disintossicazioni impongono un programma così fitto da impegnare molto più di una vita.   di Edoardo Fleischner

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