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La scuola ha bisogno di passione e ragione

La testimonianza di Cristina, insegnante da 33 anni: le richieste di aumentare gli stipendi senza fare distinzioni sono ingiuste.
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La scuola ha bisogno di passione e ragione

La testimonianza di Cristina, insegnante da 33 anni: le richieste di aumentare gli stipendi senza fare distinzioni sono ingiuste.
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La scuola ha bisogno di passione e ragione

La testimonianza di Cristina, insegnante da 33 anni: le richieste di aumentare gli stipendi senza fare distinzioni sono ingiuste.
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La testimonianza di Cristina, insegnante da 33 anni: le richieste di aumentare gli stipendi senza fare distinzioni sono ingiuste.
Per evitare fraintendimenti premetto che amo essere insegnante da 33 anni e sono consapevole sia un lavoro importante, delicato, difficile. I docenti di ogni ordine di scuola andrebbero pagati in modo equo. Però sono stanca di continue e insopportabili lamentele dei docenti solo ed esclusivamente sui soldi: non è onesto e nemmeno etico insistere fino allo sfinimento chiedendo sempre e solo aumenti a pioggia per tutti, senza fare distinzioni o porre condizioni. Insegno matematica e fisica in un liceo, prendo quasi 2.000 euro al mese (un docente giovane ne prende 1.400-1.500) ma con la maturità, i corsi di recupero invernali ed estivi e la partecipazione ad alcune attività extra posso aggiungere allo stipendio circa 150 euro al mese. È vero che lavoro a casa ogni giorno 2-3 ore oltre quelle fatte a scuola, ma sono privilegiata perché posso scegliere quando farle. Lavoro, ad esempio, dalle 20 alle 22.30 e al pomeriggio posso andare in piscina o palestra o in negozio quando c’è poca gente e posso dedicarmi alla famiglia. È un privilegio poter disporre del proprio tempo. È vero che con maturità e corsi ho finito il 14 luglio e riprendo con il recupero dei debiti il 22 agosto (per cui alcuni colleghi urlano allo scandalo perché non si raggiungono i 36 giorni di ferie), ma i corsi mi impegnavano solo 2 ore al giorno; inoltre dal 22 agosto al 12 settembre sarò a scuola solo alcuni giorni e solo per alcune ore al giorno (non è affatto come chi lavora 8 ore continuate). Quindi complessivamente 8 settimane libere riesco a farle. Cui aggiungo 2 settimane a Natale e una a Pasqua. Di tempo ne ho molto di più dei miei amici che lavorano nel privato! È vero che il nostro è un lavoro di estrema delicatezza perché siamo responsabili di persone: allora bisognerebbe trovare il modo di cacciare chi svilisce tale responsabilità. A fronte di tanti docenti impegnati, appassionati e preparati, ce ne sono altri che fanno lezione facendo leggere a turno ai ragazzi il libro di testo per tutta l’ora o dettando i propri appunti di vent’anni anni fa, c’è chi non si prepara e improvvisa in classe, chi dopo 10 minuti di lezione dice agli studenti «Fate quello che volete» e legge il giornale, chi tratta male e umilia i ragazzi, chi non si aggiorna mai e ha letto l’ultimo libro alle superiori, chi non sa parlare e scrivere correttamente in italiano. Se vogliamo considerazione sociale ed economica non possiamo pretendere soldi a pioggia su tutti e difendere figure indifendibili. Molti si giustificano dicendo che anche in altri settori ci sono incapaci e svogliati. A parte il fatto che non è una scusante, però finché si è dentro un ufficio lo vedono solo i colleghi: noi abbiamo davanti 25 ragazzi ogni ora e facciamo danni incalcolabili. E non capisco perché nelle industrie agroalimentari ogni operaio, tutti gli anni, si sottopone a visita psicologica (potrebbe adulterare gli alimenti) mentre noi che abbiamo tra le mani persone in crescita non veniamo mai testati sulla nostra sanità mentale. Si dice che nel privato c’è più possibilità di carriera e aumento stipendiale, ma allora siamo onesti: nel privato hai il fiato sul collo del capo e se sbagli o non produci non ti perdonano. E per fare carriera bisogna essere bravi, veloci, competitivi, competenti, aggiornati, disposti a grandi sacrifici di tempo e di vita: quanti docenti di quelli che ripetono ogni anno la stessa lezioncina sarebbero capaci di sfondare? Inoltre quali lauree sono richieste sul mercato? Quelle delle discipline Stem, per cui per laurearsi bisogna impegnarsi e non basta ripetere a memoria. Ci sono tante altre facoltà invece che illudono tutti di essere dei geni, in cui ragazzi che alle superiori facevano fatica viaggiano al ritmo di 30, in cui basta avere buona memoria ed essere tenaci ripetitori per arrivare a laurearsi con ottimi voti. Però poi l’unico sbocco è la scuola e quindi ci sono maree di laureati in queste discipline che formano organici aggiuntivi o sono utilizzati sul sostegno senza averne i titoli. Dopo alcuni anni di precariato chiedono la stabilizzazione e prima o poi la ottengono. Molti sono bravi e appassionati, ma per tanti invece la scuola è solo un ripiego. Oppure ci sono insegnanti col doppio lavoro o che fanno decine di ore di lezioni private a 30-40 euro l’ora in nero. Conosco colleghi che vengono dal privato o da cooperative che dicono di aver trovato nella scuola il Paradiso, ma non conosco nessuno che ha fatto il passaggio inverso: chi si lamenta tanto e crede che nel privato siano tutte rose e fiori, perché una buona volta non ci prova? Con la pandemia non abbiamo perso nulla e con le varie crisi non rischiamo posto e stipendio e osiamo invece lamentarci se abbiamo la prima ora o il sabato di lezione o se alla maturità dobbiamo lavorare senza aria condizionata, quando c’è chi vive costantemente nell’incertezza, chi fa i turni di notte, chi è sempre reperibile, chi lavora nei campi o sulle strade sotto il sole di luglio. Ci sono docenti che si lamentano di dover andare lontano da casa: questo succede per tutti i lavori. Inoltre se il maggior numero di studenti è al Nord e il maggior numero di docenti è del Sud, la matematica ci fornisce già la spiegazione. Ci sarebbero tantissime cose da cambiare nella scuola per il bene dei ragazzi, bisognerebbe buttare giù tutto e ricostruirlo da capo, ma quando sento colleghi e sindacati che dicono «Se fossimo pagati di più lavoreremmo meglio» mi vergogno: vuol dire allora che noi facciamo poco e male apposta? E che se fossimo più pagati diventeremmo magicamente più competenti ed empatici? È proprio una scusante infima che si rivolta contro chi la usa. Se vogliamo maggiore considerazione sociale dobbiamo comportarci in modo da riconquistarla e non difendendo personaggi e situazioni indifendibili. E se vogliamo essere pagati di più dobbiamo accettare di perdere alcune ‘libertà’ a cui siamo abituati (se a volte si fa la proposta di stare a scuola dalle 8 alle 17 tutti insorgono) e pretendere assolutamente una differenziazione tra chi meriterebbe il doppio dello stipendio e chi dovrebbe vergognarsi anche a prenderne la metà. Di Cristina Agazzi

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