La sfida dell’Italia nella lotta alla denatalità
385.000 bambini nasceranno in Italia nel 2022: dovrebbero terrorizzare un Paese e una politica poco interessata al tema della denatalità e del gelo demografico.
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La sfida dell’Italia nella lotta alla denatalità
385.000 bambini nasceranno in Italia nel 2022: dovrebbero terrorizzare un Paese e una politica poco interessata al tema della denatalità e del gelo demografico.
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La sfida dell’Italia nella lotta alla denatalità
385.000 bambini nasceranno in Italia nel 2022: dovrebbero terrorizzare un Paese e una politica poco interessata al tema della denatalità e del gelo demografico.
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385.000 bambini nasceranno in Italia nel 2022: dovrebbero terrorizzare un Paese e una politica poco interessata al tema della denatalità e del gelo demografico.
I 385.000 bambini che nasceranno in Italia nel 2022, dato fornito al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini dal presidente dell’Istat Carlo Blangiardo e difficilmente modificabile arrivati all’ottavo mese dell’anno, dovrebbero terrorizzare un Paese interessato al proprio futuro.
Non usiamo a cuor leggero questo verbo, ma crediamo che un bagno di realtà sia necessario: a un simile livello di nati ogni anno e soprattutto con la continua accelerazione del trend di decrescita, gran parte dei temi che stanno agitando la raffazzonata campagna elettorale di queste settimane semplicemente non hanno ragion d’essere. Con una contrazione così pesante e veloce del numero di abitanti in generale – 1.200.000 residenti in meno nel giro di 10 anni – e in particolar modo della popolazione più giovane e attiva, qualsiasi conto di carattere fiscale e previdenziale andrà radicalmente rivisto.
Questo è un fatto, come è un fatto che tutti i partiti si guardino bene dal farne seppur minimo cenno. Dovessero farlo, del resto, buona parte dei loro programmi e promesse diventerebbe all’istante carta straccia.
Sappiamo perfettamente quanto il tema della denatalità sia ormai venuto a noia a larghe fasce della popolazione, anche perché imbevute di balle ripetute per anni sull’idea che si possa sempre distribuire, senza preoccuparsi di produrre e accumulare. Una sciocchezza grave e potenzialmente fatale, di cui un giorno in molti dovranno render conto. Anche le parole di papa Francesco, tagliente nel ricordare come in molti preferiscano l’affetto di un cane al mettere al mondo un bambino, lasciano il tempo che trovano.
Il gelo demografico, però, può suggerire una riflessione diversa. È indiscutibile, e non solo con implicazioni negative, che il nostro Paese stia progressivamente invecchiando e che in virtù delle riflessioni sopra esposte si stia allungando l’età attiva delle persone. A nostro modesto avviso, una benedizione, perché non ci limitiamo a vivere di più e meglio, ma abbiamo sempre più anni per dare un senso alla nostra esistenza, coltivando talenti, professioni e passioni.
Nel mondo di prima, la vita era rigidamente suddivisa nelle tre fasi di apprendimento, lavoro e pensione e dopo i cinquant’anni cominciava l’era della raccolta. Diciamolo, del godimento dei frutti della fatica accumulata negli anni. Pensare di riproporre oggi una simile sequenza ha del ridicolo e l’unica strada appare quella di ragionare in termini di opportunità prima negate. Provando a superare la paura del nuovo e dell’ignoto.
Da sempre, la creatività e il massimo delle nostre capacità produttive sono associate agli anni della giovinezza. La storia delle arti e delle scienze rafforza indiscutibilmente questa tesi. Nei secoli in cui l’età media faticava a superare i quarant’anni, giocoforza si dava il meglio fra i 20 e i 30. Anche il Novecento, peraltro, è ricco di spettacolari esempi di genialità giovanile, si pensi solo agli incredibili progressi della fisica nei primi decenni del secolo e all’età media dei loro protagonisti.
Oggi, la sfida lanciata a noi delle generazioni mature è quella di accettare l’inesplorato, anche quando saremmo naturalmente attratti da comodità e sicurezze. Nessuno è così ipocrita da negare disagi e traumi degli ultra cinquantenni alle prese con la perdita del posto di lavoro e dei propri riferimenti, ma una società realmente dinamica non dovrebbe prescindere dal poter offrire nuove occasioni a tutti e a tutte le età.
Questo comporta fatica e impegno, senza dubbio, chiamando ciascuno di noi a reinventarsi in un’età che solo negli anni Novanta era considerata l’anticamera della pensione. Saremo ottimisti e un filo romantici, ma non ci sembra così male.
di Fulvio Giuliani
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