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La spiritualità dello shopping

Come ogni Natale torna centrale il dibattito sulla povertà, da combattere sì ma anche un valore da promuovere per la Chiesa.  Il consumismo viene visto sovente come il male ma non è detto che anche nello fare shopping non si possa essere spirituali
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La spiritualità dello shopping

Come ogni Natale torna centrale il dibattito sulla povertà, da combattere sì ma anche un valore da promuovere per la Chiesa.  Il consumismo viene visto sovente come il male ma non è detto che anche nello fare shopping non si possa essere spirituali
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La spiritualità dello shopping

Come ogni Natale torna centrale il dibattito sulla povertà, da combattere sì ma anche un valore da promuovere per la Chiesa.  Il consumismo viene visto sovente come il male ma non è detto che anche nello fare shopping non si possa essere spirituali
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Come ogni Natale torna centrale il dibattito sulla povertà, da combattere sì ma anche un valore da promuovere per la Chiesa.  Il consumismo viene visto sovente come il male ma non è detto che anche nello fare shopping non si possa essere spirituali
Natale: orgia di consumismo o momento di ascetica spiritualità? Per i pontefici in genere è un’occasione solenne e ricorrente per contrapporre gli interessi terreni alle cose celesti,  quali valori distanti se non incompatibili. Al centro è sempre il tema della povertà, peraltro posto in termini spesso equivoci: povertà da combattere – nel senso di favorire per quanto possibile un certo benessere materiale o quantomeno una dignitosa sopravvivenza – oppure povertà da promuovere come valore e ideale in sé? Si tratta, come è evidente, di due tesi opposte. Aiutare l’indigente non significa trasfigurarlo in eroe, santo o tantomeno in modello universale: piuttosto, al di là di ogni soccorso immediato, favorirne la capacità di bastare a sé stesso. Il vittimismo non aiuta il povero e frena il Pil. In questo, la cultura protestante ha molto da insegnare a quella cattolica. Gesù non era povero. Giuseppe era un rispettato artigiano. Il falegname costruisce, trasforma, inventa, continuando così l’opera divina della creazione. Al tempo la categoria, organizzata in corporazione, godeva di speciale considerazione sociale. Si può anche immaginare che il casto sposo di Maria disponesse di un laboratorio attrezzato e di un certo numero di collaboratori. Quanto alla capanna del presepe, sempre rappresentata come estrema e precaria sistemazione di fortuna, secondo varie fonti poteva ben consistere nella dépendance di una decorosa struttura d’accoglienza. Perfino la tunica di Cristo che i soldati romani si giocarono a sorte era un ambìto indumento in tessuto pregiato. L’iconografia cristiana e l’idea stessa del Natale hanno in sé valori universali di amore e rinascita, condivisibili anche laicamente e del tutto compatibili con un’idea di sobria agiatezza. I pacchi dorati, i colori e le luci dei negozi ne fanno parte: è festa. Festa di luci e  luminarie urbane: dove, fin dalle (ignote) origini, gli elementi mistici si intrecciavano con folklori pagani legati appunto alla divinità del Sole. Molti pensatori e filosofi notoriamente atei o pessimisti – da Schopenhauer al cupo Dostoevskij fino a Jean Paul Sartre, esistenzialista nauseato – partecipano sorprendentemente di quel clima, come confermano diversi epistolari e appunti privati. Perfino Nietzsche, nella corrispondenza ai familiari, si mostra affascinato dall’atmosfera della Natività: se Dio è morto, di certo sarà nato e non è escluso possa resuscitare a Pasqua. In fondo, lo stesso shopping ha una sua spiritualità.   di Gian Luca Caffarena

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