La ‘zona Zaccagni’ è una caratteristica nazionale
La zona Zaccagni è una caratteristica italiana non solo nei calcio: sempre in affanno, sempre all’ultimo minuto, sempre quasi troppo tardi
La ‘zona Zaccagni’ è una caratteristica nazionale
La zona Zaccagni è una caratteristica italiana non solo nei calcio: sempre in affanno, sempre all’ultimo minuto, sempre quasi troppo tardi
La ‘zona Zaccagni’ è una caratteristica nazionale
La zona Zaccagni è una caratteristica italiana non solo nei calcio: sempre in affanno, sempre all’ultimo minuto, sempre quasi troppo tardi
La zona Zaccagni è una caratteristica italiana non solo nei calcio: sempre in affanno, sempre all’ultimo minuto, sempre quasi troppo tardi
Zaccagni la butta dentro a 30 secondi dalla fine mentre il cronometro segna il 98esimo minuto di gioco con un recupero quasi record di ben 8 minuti. Non è solo il finale con il batticuore della partita Italia-Croazia, è la nostra vita pubblica quotidiana: sempre in affanno, sempre con il batticuore, sempre raddrizzata in quella che una volta si chiamava ‘zona Cesarini’ e ora si dovrà chiamare ‘zona Zaccagni’.
Tutto bene? Tutto è bene quel che finisce bene, diceva Shakespeare, ma qui il riferimento son quelli di SuperGulp che, infatti, aggiungevano «e l’ultimo chiuda la porta». Ma qui la porta – Donnarumma a parte – non si chiude e ciò che passa sono la palla e tanta insopportabile retorica. «Bisogna dare il cuore», «Crederci fino all’ultimo secondo», «Ora inizia un’altra storia». No signori, è sempre la solita solfa e infatti la sottovalutata cronaca è la cosa più importante: i minuti, i secondi sono finiti e il record di recupero non dipende da noi ma dall’arbitro. Ecco il punto: quanto gli altri sono disposti a concederci?
Siamo in affanno con i conti pubblici e ogni volta dobbiamo fare e rifare i conti in ‘zona Zaccagni’ cercando di dividere una torta sempre più piccola, ma un’altra storia – come dice la retorica post partita – non inizia mai. Siamo in affanno sul tema della giustizia che è ben oltre perfino il 98esimo minuto di gioco: c’è chi rimane in carcere oltre trent’anni e al trentatreesimo anno, quasi una sorta di Cristo del nostro tempo, si scopre che è innocente; c’è chi lavora nei campi come uno schiavo e chi lo schiavizza è indagato da oltre cinque anni e così, per inerzia e incapacità, il caporale ha tutto il tempo e l’agio di infischiarsene che lo schiavo abbia perso un braccio e lo lascia morire invece di portarlo in ospedale. Ospedale? Siamo in affanno con la sanità che al Nord funziona in un modo e al Sud è diventata quasi latitante: provate a varcare il Garigliano e vi ritrovate alla lettera all’altro mondo: non c’è bisogno della legge Calderoli per avere la ‘differenziata’.
Con questo rosario, che sembra la retorica dell’antiretorica, si può continuare per molto. Un esempio: ci sono in corso gli esami di Stato alle scuole superiori e così tra non molto ci toccherà la solita solfa sui voti con la percentuale dei promossi che sarà del 99,9 con quell’unico bocciato che dovrebbe assurgere a eroe nazionale, visto che di fatto e di principio tutto il sistema scolastico si regge sulle sue spalle. Ma è proprio questa la fotografia della vita nazionale: un Paese che pareggia – pareggia, non vince, pareggia al 98esimo e si qualifica per il rotto della cuffia – e si ubriaca di retorica autopromuovendosi e autocandidandosi a guidare i destini dell’Europa e del mondo intero.
Il nostro più grande problema è, invece, proprio la ‘zona Zaccagni’. È la retorica dell’ultimo secondo dell’ultimo minuto del recupero concessoci dagli altri. L’obiettivo non è uscire con il pareggio dalla ‘zona Zaccagni’ e sentirsi eroi, bensì è non entrare proprio nella ‘zona Zaccagni’ e affrontare i problemi prima, quando si presentano per quel che sono e non dopo, molto dopo quando non sono più nemmeno problemi ma abitudini, vizi, droghe.
Aveva ragione Churchill quando diceva che gli italiani vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra. Il carattere nazionale è quello della commedia, che è una forma furba di autoconsolazione che nasconde volutamente la tragedia: un po’ perché costa troppa fatica affrontarla e un po’ perché si ritiene che non ne valga la pena. Così dalla ‘zona Zaccagni’ non si uscirà mai.
di Giancristiano Desiderio
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Tag: calcio sport, società
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