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Le professioni del futuro

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Il cambiamento tumultuoso della società ha colte impreparate l’istruzione e la formazione. La transizione tecnologica ed energetica, infatti, necessita di nuove competenze lavorative esistenti sulla carta, ben codificate nei ruoli, ma nella realtà difficili da reperire.

Le professioni del futuro

Il cambiamento tumultuoso della società ha colte impreparate l’istruzione e la formazione. La transizione tecnologica ed energetica, infatti, necessita di nuove competenze lavorative esistenti sulla carta, ben codificate nei ruoli, ma nella realtà difficili da reperire.
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Le professioni del futuro

Il cambiamento tumultuoso della società ha colte impreparate l’istruzione e la formazione. La transizione tecnologica ed energetica, infatti, necessita di nuove competenze lavorative esistenti sulla carta, ben codificate nei ruoli, ma nella realtà difficili da reperire.
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Data scientist, UX designer, Cyber security engineer, Cloud architect, Energy manager, Project manager, E-commerce specialist. Questi i profili professionali più richiesti ora e nel prossimo futuro in Italia e nel mondo. La transizione tecnologica ed energetica necessita di competenze esistenti sulla carta, ben codificate nei ruoli, ma nella realtà difficili da reperire. L’accelerazione che sta avendo negli ultimi anni la corsa verso il futuro – spinta dai grandi trend della digitalizzazione, della servitizzazione e dell’ambientalismo – ha trovato inadeguati gli apparati dell’istruzione e della formazione, rimasti indietro. Il cambiamento tumultuoso della nostra società è quindi rincorso dalla scuola, dall’università, dalla formazione professionale. Adeguare i programmi, i docenti e le strutture richiede tempo. Siamo in un periodo eccitante di disruption e trasformazione e come tale di grandi problemi e opportunità. La maggiore difficoltà di fronte a quest’onda è il trend demografico, che vede ridursi nei prossimi decenni in Italia e nel mondo avanzato la quota percentuale di giovani sul totale della popolazione. Secondo l’Istat, in Italia scenderemo da 60 milioni nel 2020 a 54 milioni nel 2050 e il rapporto tra giovani e anziani alla metà del secolo sarà di 1 a 3. Dati già negativi in sé, perché dipingono una società che invecchia e non si rigenera e rinnova allo stesso ritmo, ma ancora più infausti se considerati in relazione alla trasformazione tecnologica e digitale, ambito di naturale comprensione e dominio delle giovani generazioni. Stiamo rischiando grosso. Se non si rimane al passo coi tempi si viene travolti. Vista la portata della sfida, iniziativa privata e mano pubblica dovrebbero entrambe spingere sull’acceleratore. La prima sul fronte degli investimenti e della formazione, la seconda su quello dell’istruzione e degli aiuti alle famiglie. L’Italia, per la sua storia e propensione, ha anche la possibilità di inserire la dimensione orizzontale nella scienza e nella sua declinazione nei profili verticali sopra citati, arricchendoli e caratterizzandoli con la creatività e la cultura che ci sono proprie. Tecno-logici più che meramente tecnologici. Inutile illudersi, non sarà impresa facile, ci vorrà tempo e non mancheranno le sconfitte, ma alternative non ce ne sono. Le bellezze naturali e artistiche ci aiuteranno, come sempre, tuttavia non sono sufficienti. Se proprio non riusciamo a invertire il trend demografico, magari possiamo invecchiare bene e diventare cyber nonni e mentre in India avranno i data scientist di 25 anni, i nostri ne avranno 50. A mali estremi, estremi rimedi. di Francesco Orlando  

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