Legge e fiducia
Il sistema giuridico anglosassone è in buona parte basato sulla fiducia, chissà perché in Italia sembra che funzioni al contrario.
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Il sistema giuridico anglosassone è in buona parte basato sulla fiducia, chissà perché in Italia sembra che funzioni al contrario.
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Il sistema giuridico anglosassone è in buona parte basato sulla fiducia, chissà perché in Italia sembra che funzioni al contrario.
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Il sistema giuridico anglosassone è in buona parte basato sulla fiducia, chissà perché in Italia sembra che funzioni al contrario.
Una mattina di vent’anni fa mi trovavo di passaggio nei pressi di un tribunale inglese. Curioso di tastare live il sistema giudiziario anglosassone decisi di andare a seguire qualche udienza. C’era un controllo all’ingresso: un poliziotto dallo sguardo severo. Mi chiese di identificarmi, gli dissi subito che ero un avvocato italiano. Con un gesto plateale, molto “all’italiana”, infilai la mano all’interno della giacca per tirare fuori il mio tesserino. Il poliziotto mi bloccò subito: «Mi ha detto che lei è avvocato» mi disse. «…Per me è sufficiente… Entri pure». Il poliziotto, in pratica, si fidò della mia sola parola.
Fiducia era la parola chiave di quel nostro scambio. Il sistema giuridico anglosassone è in buona parte basato sulla fiducia. Per la prima volta ne facevo esperienza diretta. La premessa inglese per ogni contratto, accordo, atto (anche pubblico) è: «Mi fido di te». Il meccanismo relazionale è fiduciario, l’equilibrio sociale si fonda spesso (almeno fino a qualche anno fa) su forme autoregolamentative urbane. Di contro, violare la fiducia, nei Paesi anglosassoni, equivale a un gesto pesantemente eversivo. Una delle ultime condanne a morte in Inghilterra (per impiccagione) fu eseguita, infatti, per «false dichiarazioni a un pubblico ufficiale».
Chissà perché in Italia sembra che funzioni al contrario. Tutto il sistema giuridico italiano, dal diritto commerciale o amministrativo (per non parlare del tributario) o penale, pare fondato sul sospetto: un «sistema sfiduciario» come scrive il professor Tommaso Greco nel suo recente saggio “La legge della fiducia” (Laterza, 2021). Un sistema che ai nostri occhi pare più angosciato dal dover prevenire con adeguata sanzione chi di certo violerà la regola che soddisfatto di farci godere della bontà di quanto disposto per il bene comune. Lo sguardo del nostro sistema non appare sereno ma con il furore vitreo di un principe machiavellico, desideroso di stanare e punire il sicuro contravventore.
È una percezione falsata o quantomeno carente d’equilibrio. La nostra realtà giuridica, ci spiega (nel senso di togliere dalle pieghe) il professor Greco nel suo saggio, è colma di fiducia riscontrabile in quella miriade di atti quasi “inconsci” (in verità, tutti effettivi negozi giuridici) che eseguiamo e perfezioniamo ogni giorno (dal pagare un caffè fino al berlo con fiducia, dal guidare un’automobile al fermarsi col semaforo rosso). L’esperienza del lockdown legato alla pandemia ha dimostrato che la giuridicità della condotta altro non è che un’opera collettiva di adesione a precetti accettati con fiducia. Il problema energetico che si palesa all’orizzonte ci chiederà lo stesso tipo di condotta.
Il sospetto – la sanzione, in particolare – non è mai stata l’essenza o il volto autentico del diritto tuttalpiù un garante, uno stabilizzatore, un corroborante del suo tessuto precettivo. È importante che il concetto di fiducia entri nella nostra considerazione dell’esperienza giuridica. Merito del libro è quello di aver stimolato una riflessione che ci invita a rivedere il nostro rapporto con le regole con la loro comprensione e sviluppa quella visione fluttuante verso il bene comune che è l’essenza vera del diritto fatto bene.
Di Mc Graffio
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