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Leggere, scrivere e far di conto nell’era crossmediale

Non sono tanto i mezzi tecnologici a fare la nuova didattica digitale ma più che altro le persone. Gli insegnanti sono pronti a questa nuova rivoluzione crossmediale? Inutile che polemizzino dicendo che “tra poco in classe al posto loro ci sarà un robot”, è tempo di agire.
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Leggere, scrivere e far di conto nell’era crossmediale

Non sono tanto i mezzi tecnologici a fare la nuova didattica digitale ma più che altro le persone. Gli insegnanti sono pronti a questa nuova rivoluzione crossmediale? Inutile che polemizzino dicendo che “tra poco in classe al posto loro ci sarà un robot”, è tempo di agire.
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Leggere, scrivere e far di conto nell’era crossmediale

Non sono tanto i mezzi tecnologici a fare la nuova didattica digitale ma più che altro le persone. Gli insegnanti sono pronti a questa nuova rivoluzione crossmediale? Inutile che polemizzino dicendo che “tra poco in classe al posto loro ci sarà un robot”, è tempo di agire.
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Non sono tanto i mezzi tecnologici a fare la nuova didattica digitale ma più che altro le persone. Gli insegnanti sono pronti a questa nuova rivoluzione crossmediale? Inutile che polemizzino dicendo che “tra poco in classe al posto loro ci sarà un robot”, è tempo di agire.
Ancora troppi insegnanti, impauriti a morte, liquidano il muro di una loro mancata alfabetizzazione digitale urlando (sentiti con le nostre orecchie) «Il digitale uccide l’insegnamento!». È l’estremo grido, non di un luddismo argomentante ma di un panico debordante. Poi arriva una pandemia globale, con milioni di vittime. Lo smart working, il lavoro a distanza, la Dad (che porta da anni la scuola a milioni di ragazzi nel mondo: in Finlandia, India, Usa, Sud Corea, ecc.) e la classroom digitale obbligano miliardi di persone a interagire con pc, smartphone, tablet, email, video-riunioni, social networking, database, connessioni, router, microfoni, webcam, luci, Power Point, ecc. È una alfabetizzazione digitale di massa, nei cinque continenti. Dopo due anni si è stabilizzata a vari livelli (il 71% degli studenti italiani è migliorato nell’uso delle tecnologie digitali): da chi diventa un super esperto a chi arriva almeno a saper scrivere un’email, ma non oltre. Si fronteggiano sul campo i soliti apocalittici e integrati. Quest’ultimi, dopo le Lim (Lavagne interattive multimediali) e il registro elettronico, reclamano: «Mettiamo un robot nelle classi elementari» (come in Cina), «Introduciamo la realtà virtuale alle superiori» (come in Florida, Usa), «Portiamo l’intelligenza artificiale nella nostra università» (come in Sud Corea). Ma è inutile rimpinzare di tecnologie le classi scolastiche in presenza oppure online. È fuorviante didatticamente, socialmente e politicamente elevare le tecnologie a nostri totem. Gli strumenti cambiano, gli umani restano. Coi nuovi mezzi – dalla penna al metaverso – l’homo sapiens crea nuovi linguaggi, nuovi percorsi per la conoscenza. La scuola (non solo italiana, salvo le solite eccezioni: gli italiani sono campioni mondiali nelle eccezioni) è ferma da oltre due secoli al modello scrivere-leggere-far-di-conto, in un cubo, con tanti soldatini seduti in banchi a volte ancora fissi, perfino uniti fra loro. Inquadrati e squadrati. Nel 1839 arriva la fotografia, il cinema nel 1895, la radio negli anni Venti, la televisione nei Trenta, il computer nei Cinquanta. Seguono il web negli anni Novanta e poi la realtà virtuale, l’intelligenza artificiale, Internet delle cose, ecc. a inizio secolo XXI. I nuovi linguaggi premono alle obsolete porte della scuola della prima rivoluzione industriale, ma in pochissime aule entrano le nuove scritture-letture e i nuovi far-di-conto, le ulteriori strade ai saperi. In attesa che audio, video, coding, videogiochi, varie realtà metaversiche virtuali e reali entrino – doverosamente, normalmente, senza esaltazione e fragore – in ogni scuola, di ogni ordine e grado incluso l’asilo, e che tutti i docenti sappiano usare ogni strumento (l’84% dei genitori italiani chiede alla scuola attività interattive online per i propri figli), ricordiamoci che non sono i mezzi che fanno la nuova didattica che si battezza voluttuosamente “digitale”. La didattica innovata della quarta rivoluzione industriale, con i nuovi scrivere-leggere-far-di-conto, parte da 25 secoli fa e rimane – dovrebbe rimanere – interdisciplinare, reticolare, verticale-ma-orizzontale cioè crossmediale, per gli insegnanti (sono in grado?) e nei nuovi curricula (sono pronti?), con le guerre puniche studiate anche tre volte – dalle elementari all’università, prima coi videogiochi, poi con la realtà virtuale e infine con l’intelligenza artificiale. Strumenti diversi per ragionare in modi diversi. Senza attrazioni fatali per gli strumenti, senza innamorarsi incompetentemente dei mezzi ma, invece, decisamente dei fini. di Edoardo Fleischner 

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