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libertà di stampa

Libertà di stampa fra mito e realtà

Trent’anni che l’Italia viene descritta all’estero e ancor più spesso in patria come un luogo privo di una pluralità d’informazione degna di una democrazia. Il fantasma di Silvio Berlusconi

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Libertà di stampa fra mito e realtà

Trent’anni che l’Italia viene descritta all’estero e ancor più spesso in patria come un luogo privo di una pluralità d’informazione degna di una democrazia. Il fantasma di Silvio Berlusconi

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Trent’anni che l’Italia viene descritta all’estero e ancor più spesso in patria come un luogo privo di una pluralità d’informazione degna di una democrazia. Il fantasma di Silvio Berlusconi

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Trent’anni che l’Italia viene descritta all’estero e ancor più spesso in patria come un luogo privo di una pluralità d’informazione degna di una democrazia. Il fantasma di Silvio Berlusconi

Sono trent’anni che l’Italia viene descritta all’estero e ancor più spesso in patria come un luogo privo, se non di libertà di stampa, quantomeno di una pluralità d’informazione degna di una grande e moderna democrazia. Superfluo sottolineare che dall’avvento di Silvio Berlusconi sulla scena politica non ci siamo mai liberati del fantasma. Impegnati da una battaglia sulla sua persona durata vent’anni, smettemmo persino di ricordare quanto fosse soffocante la presa del potere sulla stampa negli anni Sessanta – di quelli Cinquanta non parliamo neppure – completamente schiacciata sui partiti di governo. In particolare la Democrazia cristiana.

In epoca craxiana una delle immagini più forti resta quella del leader socialista ritratto in stivaloni mussoliniani dal leggendario Forattini. Nonostante tutto, per tanti italiani il problema è nato con Silvio Berlusconi e soprattutto non si è mai risolto, per quanto abbiano governato anche gli altri. Non c’è stato uomo di potere più osteggiato, criticato, controllato in ogni aspetto della vita pubblica e privata come il Cavaliere, ma per un paio di decenni ci siamo sorbiti l’idea che in questo Paese non potesse esistere altra ‘verità’ che quella del leader di Forza Italia. Al punto che scriverlo oggi ci potrebbe far guadagnare l’etichetta di nostalgici. Già durante il lungo tramonto di Silvio Berlusconi è toccato ad altri essere indicati come pericoli per la democrazia: Matteo Renzi e poi Matteo Salvini. Nella breve stagione dei Cinque Stelle trionfanti fu raccontata la gran balla dello streaming salvifico, lavacro di tutte le presunte infamità commesse dagli inguardabili guardiani del potere. C’è chi cedette al rito umiliante – Pierluigi Bersani – senza mai riprendersi, mentre i duri e puri sono andati a rifugiarsi nei detestati quotidiani (amici).

Dopo una simile carrellata, c’è ancora qualcuno disposto a credere che con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia a Palazzo Chigi il Paese sia precipitato nel buco nero della libertà di stampa e che il bavaglio sia stato infine imposto? Quanto è superficiale sostenerlo, osservando in modo particolare la Rai che si limita a replicare – cambiando le bandierine – il perenne gioco della lottizzazione. Chi oggi strepita spesso ne esalta il trionfo assoluto: quando il Partito comunista (poi Pds, Ds e Pd) conquistò RaiTre e in modo particolare il Tg3. Oggi sarebbe tutto meloniano, ma ci vuole un certo grado di fantasia a leggere in questa formula gli eterni equilibrismi di potere nei corridoi di Viale Mazzini o l’intramontabile propensione al lecchinaggio.

Si discute molto dell’editore Antonio Angelucci, che in teoria sarebbe un senatore leghista ma viene sempre più narrato come vicino al partito della presidente del Consiglio. Molto probabile che il suddetto sia sopra ogni altra cosa interessato al business e al potere personale. Non il primo e non certamente l’ultimo a provare a replicare la battuta di Enrico Mattei sui partiti usati come taxi.

Di Fulvio Giuliani

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